lunedì 10 dicembre 2012

Il villaggio di cartone di Ermanno Olmi

Un film di Ermanno Olmi. Con Michael Lonsdale, Rutger Hauer, Alessandro Haber, Massimo De Francovich, El Hadji Ibrahima Faye. continu - Drammatico, durata 87 min. - Italia 2011. - IMDb 6,1/10 

L’incipit del film è potente. Lo sguardo stanco di Michel Lonsdale si leva verso un crocefisso sospeso per aria. Gli occhi sono carichi di domande e di disperazione. Il Cristo, però, sembra non fornire risposte. Il prete è solo. Uomo tra gli uomini. Povero e vecchio, assiste impotente alla spoliazione della sua chiesa. Restano solo le panche in uno spazio vuoto. I fedeli che un tempo gremivano la chiesa sono svaniti. Si chiudono i battenti. Il grande crocifisso posto al di sopra dell’altare, viene fatto scendere in terra, impacchettato e riposto in una cassa. Sul vecchio sacerdote cala all'improvviso lo sconcerto. Avverte l’approssimarsi della fine. Splendido inizio di questo film, ricco di suggestione. Una chiesa che si fa deserto, un sacerdote che improvvisamente si vede spogliato di ogni paramento sacro.  Dice Olmi in un'intervista: 
"Il film è finalizzato a segnalare esattamente questo: se le chiese e le case non si libereranno da tutti quegli orpelli considerati importanti e nobili, come anche certa cultura, non potremo mai entrare in relazione con gli altri, resteremo per sempre uomini di cartone. La chiesa dovrebbe essere come una casa, che fa entrare tutti senza fare domande. Se non cominciamo ad aprire la casa agli altri, inclusa la casa dell’animo, come possiamo pensare di intenderci con il resto degli uomini? E attenzione: gli orpelli dei conformismi culturali sono i più pericolosi di tutti"
E' proprio da una chiesa deserta che il senso di ecclesia torna a ritrovare il significato delle origini. Cosa può esprimere meglio di una chiesa svuotata di tutto, persino del crocifisso, il profondo vuoto spirituale della nostra società? E lo svuotamento non rappresenta forse il bisogno di un nuovo inizio o, appunto, la ricerca di un origine perduta?

Di lì a poco, infatti, un folto gruppo di clandestini in cerca di rifugio entra silenziosa nella chiesa e, con panche e cartoni, vi installa un piccolo villaggio. Dall'esterno irrompono ululati di sirene e colpi da armi da fuoco. Si fa insistente il calpestio degli anfibi sulla strada. Gente che scappa. Gente che grida. "Neppure Dio fa più il suo dovere", commenta il parroco davanti alla sorte di quegli esseri randagi, braccati dalla polizia e dai preconcetti di molti. 

Il sacerdote vede la sua chiesa riprendere vita ma dall'esterno gli uomini della Legge si fanno minacciosi. Il sacerdote li affronta con forza: ora, dopo tanti dubbi, gli è chiaro cosa deve fare. Il suo senso di indignazione e di pietà ora è tangibile. 
"La vera fede è quando il peso dei nostri dubbi è superiore a quello delle convinzioni.  - dice Olmi - Per essere uomini di fede bisogna avere davanti a sé un muro dubbi. Troppo comodo affidarci all'ideologia o alla religione, affidarci ad altri che pensino per noi. Nei momenti terribili della vita ci chiediamo dove sia Dio, e sapete perché lui non risponde mai? Perché dobbiamo rispondere noi. Troppo comodo far rispondere lui". 
Un film, quello di Olmi, che si scaglia contro il potere dell’istituzione della Chiesa fino a svuotarla di tutto il suo significato attuale per (ri)portarla ai suoi valori cristiani, persi da troppo tempo. Il messaggio che ci dà Olmi è limpido e forte: via gli altari dorati e le cose inutili, e che si accolga finalmente la gente comune. quella che non ha patria, casa, nulla, che arriva da un mare che molto spesso li porta per sempre via con sé. 
Saranno però loro a ridare un valore al fonte battesimale pronto a raccogliere la pioggia che scende dal tetto e, soprattutto, a consentire al vecchio parroco di trovare un senso al Mistero. Quel Mistero sul quale si era trovato a dubitare proprio quando la sua chiesa era affollata.  Quel Mistero che fa sì che Dio si manifesti attraverso gli occhi di uomini e donne i cui sguardi, quando si incrociano, possono mutarne i destini. Forse il Volto di cui parla tanto Levinas.
Nelle ormai inutili mura di recinzione di una brutta chiesa di cemento, sorge il villaggio di cartoni.   È in nome di questo Bene che può opporsi alla stupidità degli uomini di legge, che eseguono ordini senza interrogarsi sulla lor natura, senza chiedersi se giusti o sbagliati. Il sacerdote prende coscienza che: "Il bene è più grande della fede. Per fare il bene non serve la fede"."E, comunque, la vere fede  - aggiunge Olmi - sta nelle nostre coscienze. La globalità ha cambiato l'immigrazione: dietro le merci si accodano i popoli, donne, uomini. Tutto sta cambiando, la crisi crea equivoci: dopo la guerra abbiamo lavorato per diventare ricchi. Invece, siamo diventati miserabili. Stiamo perdendo anche i valori della convivenza e della solidarietà. E la fede non ci basta più per conservarli""Vorrei solo suggerire ai cattolici, e io sono fra di loro, di ricordarsi più spesso di essere anche cristiani". 
Al di là di qualche semplificazione di troppo, il film è una vigorosa testimonianza umana e come tale inevitabilmente contraddittoria .
«O noi cambiamo il corso impresso alla storia o sarà la storia a cambiare noi». Questa scritta costituisce l'ultimo fotogramma del film, prima della sigla finale con i titoli che scorrono sulle onde di un mare minaccioso.

L’impianto scenico di questo film è è stato allestito all’interno di una chiesa dell’immediato dopoguerra in cemento armato a faccia vista, con un’altezza che dai 6 metri dell’ingresso con un grande portone in legno arriva fino ad una altezza massima di m 12,50.
Nel retro della chiesa è ricostruito anche l’interno della sagrestia e della canonica. Un lavoro imponente che ha comportato l’impiego di decine di maestranze locali di grande professionalità.
Insieme a numerosi attori con ruoli minori, le figure dei migranti sono state scelte tra centinaia di stranieri in oltre due mesi di selezioni e provini effettuati presso i due Cineporti di Puglia a Bari e Lecce e nel resto d’Italia.
"...si può cambiare il corso impresso alla storia solo andando a toccare le sorgenti più profonde dell´essere umano, come è avvenuto 20 secoli fa con la rivoluzione cristiana, o 25 secoli fa con la rivoluzione buddhista. (...) si tratta, molto più semplicemente e molto più radicalmente, di compiere quel movimento di rinnovamento che il grande teologo Raimon Panikkar chiamava conversione delle religioni: «Il momento in cui ci troviamo è cruciale per la vita umana e per il pianeta; è un momento che richiede in maniera particolare la conversione di tutte le religioni». (...) Uomini come Ermanno Olmi credono e si dicono cristiani perché sentono l´appello alla loro umanità che è contenuto nella figura del Cristo, e perché non riscontrano nulla di più nobile e di più alto di questo ideale di bene, incarnato in gesti e sentimenti umani. Questo è l´assoluto di cui vivono, l´assoluto di un´umanità capace di bene e di gratuità, superamento della logica dell´utile ed ingresso nel mondo della trascendenza che non conosce «volontà di potenza» ma solo desiderio di armonia". 
Vito Mancuso da La Repubblica 06 APRILE 2012

2 commenti:

  1. bellissimo...
    Giulia

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  2. sentita la sua voce alla radio circa un anno fà proprio in questa conferenza stampa..mi ha toccato il cuore
    Laura

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