Ha un'aria da tranquillo intellettuale di mezza età, Ken Loach con quei suoi occhialini tondi, ma è uno dei registi contemporanei più impegnati del cinema mondiale.
I suoi film da sempre attaccano l'ideologia della società borghese-capitalistica che sfrutta i lavoratori, in particolar modo emigrati e disoccupati. Tutti i personaggi tratteggiati da Ken Loach, nessuno escluso, cercano un riscatto che a volte avviene e a volte no, si sentono responsabili verso gli altri, contro con un mondo egoista e indifferente. Allo stesso modo del suo cinema, Ken Loach ha sempre rifiutato di cedere alla "tentazione hollywoodiana"
Coerente con i suoi principi Ken Loach ha deciso di rifiutare il Gran Premio Torino assegnatogli da Torino Film Festival, come atto di solidarietà nei confronti dei lavoratori del Museo Nazionale del Cinema. Così l'ha annunciato in un comunicato stampa:
"È con grande dispiacere che mi trovo costretto a rifiutare il premio che mi è stato assegnato dal Torino Film Festival, un premio che sarei stato onorato di ricevere, per me e per tutti coloro che hanno lavorato ai nostri film. I festival hanno l’importante funzione di promuovere la cinematografia europea e mondiale e Torino ha un’eccellente reputazione, avendo contribuito in modo evidente a stimolare l’amore e la passione per il cinema. Tuttavia, c’è un grave problema, ossia la questione dell’esternalizzazione dei servizi che vengono svolti dai lavoratori con i salari più bassi. Come sempre, il motivo è il risparmio di denaro e la ditta che ottiene l’appalto riduce di conseguenza i salari e taglia il personale. È una ricetta destinata ad alimentare i conflitti. Il fatto che ciò avvenga in tutta Europa non rende questa pratica accettabile. A Torino sono stati esternalizzati alla Cooperativa Rear i servizi di pulizia e sicurezza del Museo Nazionale del Cinema (MNC). Dopo un taglio degli stipendi i lavoratori hanno denunciato intimidazioni e maltrattamenti. Diverse persone sono state licenziate. I lavoratori più malpagati, quelli più vulnerabili, hanno quindi perso il posto di lavoro per essersi opposti a un taglio salariale. Ovviamente è difficile per noi districarci tra i dettagli di una disputa che si svolge in un altro paese, con pratiche lavorative diverse dalle nostre, ma ciò non significa che i principi non siano chiari. In questa situazione, l’organizzazione che appalta i servizi non può chiudere gli occhi, ma deve assumersi la responsabilità delle persone che lavorano per lei, anche se queste sono impiegate da una ditta esterna. Mi aspetterei che il Museo, in questo caso, dialogasse con i lavoratori e i loro sindacati, garantisse la riassunzione dei lavoratori licenziati e ripensasse la propria politica di esternalizzazione. Non è giusto che i più poveri debbano pagare il prezzo di una crisi economica di cui non sono responsabili. Abbiamo realizzato un film dedicato proprio a questo argomento, «Bread and Roses». Come potrei non rispondere a una richiesta di solidarietà da parte di lavoratori che sono stati licenziati per essersi battuti per i propri diritti? Accettare il premio e limitarmi a qualche commento critico sarebbe un comportamento debole e ipocrita. Non possiamo dire una cosa sullo schermo e poi tradirla con le nostre azioni. Per questo motivo, seppure con grande tristezza, mi trovo costretto a rifiutare il premio. Ken Loach 21 novembre 2012".
A Dopo la sua presa di posizione si sono susseguiti senza sosta i commenti e le accuse per un gesto ritenuto "narcisistico e megalomane" dalla direzione artistica della rassegna cinematografica, ma che andava considerato in linea con la personalità e la coerenza del cineasta. A giudicare dalla reazione dei presenti all'arrivo in sala del regista britannico, a Roma per promuovere il suo ultimo film, La parte degli angeli, la stima nei suoi confronti non è mai venuta meno, anzi se possibile è ulteriormente cresciuta. In uscita nelle nostre sale dal prossimo 13 dicembre, grazie a Bim, il lavoro di Loach, vincitore del premio della Giuria allo scorso Festival di Cannes, è una spassosa commedia che racconta in chiave umoristica e leggera le peripezie che si è disposti ad affrontare pur di vivere in maniera dignitosa. Il protagonista si chiama Robbie, ha evitato la galera per un soffio e ora che è padre di un bambino decide di rigare dritto; anche grazie all'aiuto di Harry, supervisore del gruppo di ragazzi difficili che, come Robbie, affrontano il servizio civile sostitutivo. Il resto lo fa il buon vecchio whisky scozzese che l'allegra combriccola di ragazzacci in kilt vorrebbe rubare per ottenere i soldi da investire in una nuova attività commerciale (legale). Atteso a Torino dove incontrerà gli operai della Rear, la cooperativa accusata di aver licenziato alcuni dipendenti del Museo del Cinema, in seguito a proteste sulla riduzione dei salari, Ken Loach ha voluto mettere subito le cose in chiaro. "E' stata una questione di principio".
Signor Loach, domani incontrerà una rappresentanza di lavoratori della Rear, cosa può dire per chiudere in maniera definitiva le polemiche relative al premio?
Ken Loach: Dico anzitutto che il problema è stato sollevato già in estate, come testimonia questa email che mi è stata mandata il 10 agosto dalla direzione del Museo del cinema (legge la mail). "Siamo consapevoli della situazione e sappiamo delle sue preoccupazioni, faremo tutto ciò che è in nostro potere per trovare una soluzione ragionevole per i lavoratori". Per quello che mi riguarda, il datore di lavoro ha la responsabilità principale quando ci sono licenziamenti iniqui, quando gli stipendi sono bassi e vengono ulteriormente tagliati del 10%. Evidentemente per loro non è la stessa cosa, non vogliono essere ritenuti responsabili per terzi, rifiutandosi di intervenire nella disputa tra cooperativa esterna e azienda. Così facendo, però, ognuno può far finta di niente. Ci sono lavoratori che puliscono i nostri uffici, ma la cosa non ci riguarda. Noi non siamo d'accordo con questo pensiero, perché il motivo per cui il lavoro viene esternalizzato è tagliare i costi, contro gli interessi dei lavoratori stessi. Mi dispiace che si sia sentita l'esigenza di insultare il gesto, mi hanno addirittura definito megalomane. Beh, non lo sono. Infatti, sarei stato felice di andare lo stesso a Torino a presentare il film, ma hanno ritirato l'invito. Peccato. Comunque, la questione principale non è la mia partecipazione al festival, ma il fatto che ci siano persone che perdono il lavoro, che hanno un salario da fame, che hanno difficoltà e non hanno rappresentanza sindacale.
Chiarissimo. Parliamo adesso di questo suo ultimo film. Come mai lei e Paul Laverty avete scelto di lavorare su una commedia, avevate bisogno di leggerezza?
La parte degli angeli è un inno alla solidarietà...
Certo, è un aspetto importante, ma non è sempre sufficiente. A volte hai bisogno di organizzazione. Sapete qual è il motto dei sindacati americani? Agitare Educare Organizzare, quindi, sì, abbiamo bisogno d'amore e solidarietà, ma anche di agitare, educare e organizzare.
Quanto è stato difficile trovare gli attori giusti?
Lei è considerato uno dei pochi registi attenti al sociale, che idea si è fatto dell'attuale panorama?
Ci sono molti registi interessati all'argomento, ma è lo spirito dell'epoca ad essere completamente diverso. Oggi tutto dipende dal mercato e i registi devono essere anche imprenditori, quindi molti di loro trasformano le loro idee adattandole al mercato, ma questo non vuol dire che non siano impegnati.
Non è decisamente un periodo ricco di prospettive, questo...
Noi dobbiamo trovare un motore che contrasti questa idea del mercato come unica via possibile. Non so da voi, ma in Inghilterra abbiamo la triste prospettiva di essere guidati dal centrosinistra. Per me non può esistere una cosa del genere. Puoi essere a favore del mercato e della deregulation e allora sei a destra, oppure essere favorevole ad un'economia pianificata e alla proprietà comune e allora sei a sinistra. Bisognerebbe dire a certi politici che quando uno sta al centro della strada di solito viene investito.
E' convinto che il capitalismo sia in crisi?
Della crisi del capitalismo si parlava già quando ero giovane. Dicevamo, la rivoluzione è domani, in realtà è oggi. Questo è il momento giusto, proprio perché stanno privando la società di tutti i principali diritti civili. Togliamo il sostegno ai disabili, non permettiamo ai giovani di comprare casa, gli ospedali sono sovraffollati, gli standard sono sempre più bassi e le multinazionali gestiscono il Servizio Sanitario. In poche parole, non possediamo nulla. Abbiamo bisogno di un nuovo motore, un nuovo modello economico è urgente. Il nostro centrosinistra sostiene che procederà con l'austerità lentamente. Quando ti strozzano, però, non fa differenza se lo fanno lentamente.
Qual è stato, se c'è stato, il momento più difficile della sua carriera?
Sicuramente gli anni '80, quelli del governo Thatcher. C'erano oltre tre milioni di disoccupati, le fabbriche chiudevano e i sindacati proclamavano scioperi che non avrebbero portato a nulla. Vivevamo una situazione così estrema che non sapevo come raccontarla. Ero in mezzo alla tempesta e non potevo non essere politico in quel frangente così diressi alcuni documentari. Uno fu rifiutato e quattro sono stati banditi completamente. Mi ero fatto la reputazione di regista incapace, ma questo è niente rispetto alla mia esperienza teatrale. Scrissi una pièce in cui si parlava della fine della Seconda Guerra Mondiale e in cui criticavo aspramente il sionismo. Doveva andare in scena in uno dei teatri più importanti di Londra, il cui direttore pensò bene di mostrare il testo ad uno dei capi della principale organizzazione sionista inglese. Potete immaginare quello che successe. Ero diventato anche razzista e antisemita e il più progressista dei teatri londinesi ci bandì. Fortunatamente ho ricominciato.
Ha mai pensato di lavorare fuori dall'Inghilterra, magari esaminando la situazione italiana?
Non credo che ne sarei capace, non potrei capire le sottigliezze di certi rapporti, le sfumature. Devi essere parte di una cultura per esprimerla bene. Se venissimo in Italia io e Paul potremmo ascoltare le vostre storie, ma non sapremmo proprio dove mettere le mani. Ci vorrebbero un regista e uno sceneggiatore italiani e ne avete molti.
Secondo lei il web può dare una mano a distribuire quei film che non trovano spazio nel mercato per così dire ufficiale?
Non sono la persona adatta a rispondere, innanzitutto perché abbiamo avuto ottime distribuzioni, e non finirò mai di ringraziare la BIM e poi perché non ho grande dimestichezza con la tecnologia, tuttavia so che la rete dà grandi possibilità. Esistono però delle limitazioni. E' bello sentire il pubblico che risponde in sala e poi per i giovani andare al cinema significa uscire di casa ed è un bene. Ma tutto quello che ti aiuta a condividere immagini nuove è una cosa brillante e da tenere in considerazione.
Sì, mi piace molto, mi piace la sua fragranza, ma non ditelo agli scozzesi: preferisco un bicchiere di vino.
L'intervista è di a cura di Francesca Fiorentino
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