mercoledì 23 gennaio 2013

La chiave di Sara di Gilles Paquet-Brenner


Un film di Gilles Paquet-Brenner. Con Kristin Scott Thomas, Mélusine Mayance, Niels Arestrup, Frédéric Pierrot, Michel Duchaussoy. continua» Titolo originale Elle s'appelait Sarah. Drammatico, durata 111 min. - Francia 2010 IMDb 7,3/10 

Nel corso dei decenni, il cinema ha sempre contribuito a tenere vivo il ricordo della Shoah. E lo ha fatto attraverso una lunga serie di pellicole, alcuni veri e propri capolavori: come Schindler's List di Steven Spielberg, The Pianist di Roman Polanski. E altre, un po' più insolite come La vita è bella di Roberto Benigni, Train de vie di Radu Mihaileanu. 
Ho visto ultimamente La chiave di Sara diretto dal francese Gilles Paquet-Brenner, come protagonista l'attrice inglese Kristin Scott Thomas. Il film parla di una pagina dolorosa della storia francese nel periodo del nazismo: il  rastrellamento di 13.152 ebrei al Velodromo di Parigi avvenuto nel luglio 1942. L'operazione fu eseguita da oltre quattromila gendarmi francesi, e i prigionieri furono deportati verso i campi di sterminio. Molti, non solo in Francia, vorrebbero dimenticare che non furono i tedeschi gli unici colpevoli delle deportazioni. Si vorrebbe relegare il discorso delle colpe soltanto ai tedeschi, ma non fu così: allora e purtroppo ancora oggi la storia ci sta insegnando che le radici del male sono ovunque e, se non si vigila, possono attecchire ovunque.
Il film è tratto dall'omonimo libro di Tatiana de Rosnay che ha venduto 5 milioni di copie (da noi è edito da Mondadori) e racconta due storie parallele che ad un certo punto si incrociano fra di loro: da una parte la storia di Sara (Melusine Mayance da piccola, Charlotte Poutrel da grande) che, quando arrivano i tedeschi a prelevare la famiglia, nel tentativo ingenuo di salvare il fratellino, lo chiude a chiave nel ripostiglio della casa nel Marais; dall'altra, la storia di Julia Jarmond (Kristin Scott Thomas), giornalista americana sposata a un architetto francese. 
Il 16 e 17 luglio 1942, gli ebrei parigini vengono arrestati dalla polizia collaborazionista francese e condotti al Vélodrome d'Hiver, da cui saranno poi deportati nei campi di concentramento nazisti. Fra di loro c'è anche Sara Starzynski, una bambina di dieci anni che prima del raid dei gendarmi ha nascosto il fratellino Michel in un armadio. 
Sessant'anni dopo la giornalista Julia Jarmond, americana, ma da tempo residente in Francia dove ha sposato l'architetto Bertrand Tezac, deve realizzare un servizio proprio su quel rastrellamento. Sarà proprio lei a ricostruire i fatti, in un percorso che si rivelerà doloroso anche sul piano personale.
Infatti, coincidenza vuole che Julia, il marito e la figlia si debbano trasferire in un appartamento del Marais, al 36 di rue de Saintonge, dove i nonni di Bertrand hanno abitato fin dall'agosto 1942. 
Julia scoprirà al Mémorial sulla Shoah  che proprio in quella casa viveva la famiglia Starzynski: i genitori sono morti nel campo di concentramento di Auschwitz, ma nulla si sa dei figli Sara e Michel, rimasto chiuso nell'armadio.
Ricostruirà passo dopo passo la storia di Sara, una bambina di pochi anni che sopravviverà alla sua famiglia e agli orrori della guerra. Ricostruirà l'odissea di quella bambina, sottratta così brutalmente alla sua infanzia. La bambina era ossessionata dall'idea del fratello abbandonato nella casa e cercherà in tutti i modi di tornare per salvarlo. Riuscirà a fuggire con una compagna dal campo.
Convinta che Sara sia sopravvissuta allo sterminio, Julia ne insegue le tracce spulciando archivi, intervistando i testimoni e cercando i sopravvissuti. L'indagine la porta al "campo di transito" di Beaune-la-Rolande da dove la bambina era fuggita, poi dai Dufaure, contadini che hanno ospitato Sara dopo la sua fuga e allevata fino all'età adulta.
Nella sua indagine Giulia incontra anche William, il figlio di Sara che dal 2009 vive a Firenze, che non vorrebbe sapere nulla del passato di sua madre ma che socprirà che “noi siamo il frutto della nostra storia”, il passato “non può essere dimenticato né tanto meno ignorato” e “non se ne esce mai del tutto”. 
Per questa sua indagine incontrerà i maggiori ostacoli nella famiglia del marito che cercano di dimenticare verità scomode. Le difficoltà più gravi le avrà con il marito che non comprende questo suo accanimento nel mettere alla luce una storia ormai sepolta.
E' un film pellicola che ha il merito di squarciare il velo su una vergogna nazionale per troppo tempo rimossa: solo nel 1995 l'allora presidente Jacuqes Chirac ha pubblicamente chiesto scusa. Quanto al regista del film, ha dichiarato che "finora le opere sull'Olocausto sono rimaste, in modo comunque indispensabile, sul piano della Storia con la esse maiuscola. A me stavolta sembrava giusto ercare di far 'sentire' questa tragedia alla gente per restituirle una dimensione concreta e palpabile. Una dimensione umana". E aggiunge:
"L'idea di questo film è nata tre mesi prima dell'uscita di 'UV-Seduzione fatale'. Mi sono imbattuto nel libro di Tatiana de Rosnay e l'ho letteralmente divorato. Il suo intreccio è avvincente: oltre a raccontare il rastrellamento del Velodromo d'Inverno e i campi di concentramento del Loiret, li riesamina attraverso uno sguardo contemporaneo: dopo aver scoperto un segreto di famiglia, una giornalista americana che vive in Francia conoscerà meglio la storia del suo paese di adozione mentre la sua vita resterà sconvolta da qualcosa che all'inizio sembrava non riguardarla.
La storia esplora anche zone d'ombra di cui si è sempre parlato poco, come il comportamento dei testimoni dell'epoca, dei quali collaborazionisti e partigiani costituivano solo una piccola parte. La maggioranza delle persone semplicemente faceva finta di non vedere, cercando così di salvarsi la pelle; come la famiglia Tezac, che in linea di massima non ha fatto niente di male eppure si sente colpevole; o come i Dufaure, eroi quasi loro malgrado. Il libro rifugge da schemi manichei: ci sono i fatti e anche le conseguenze sulle generazioni future, e si è lontani dalle semplificazioni alle quali siamo abituati. Ha anche alcune affinità con la mia storia personale".
Giulia non andrà a vivere in quella casa col marito e alla figlia che le nasce subito dopo darà nome Sara: un atto di speranza dopo aver ripercorso le vicende di quella famiglia e degli ebrei del Vélodrome d’Hiver.
Quando una storia viene raccontata diventa qualcos’altro, il ricordo di ciò che eravamo e la speranza di ciò che possiamo diventare”. Brava come sempre Giulia-Kristin Scott Thomas che non potrebbe prestare mai il suo volto intenso a qualcosa che sia anche solo un po' banale.
La chiave di Sara non è un capolavoro, ma è una bella testimonianza che comunque vale la pena di vedere.

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