Un film di Bertrand Tavernier. Con Philippe Torreton, Didier Bezace, Maria Pitarresi, Nadia Kaci, Veronique Ataly Titolo originale Ça commence aujourd'hui. Drammatico, durata 118 min. - Francia 1998
Ricomincia da oggi non è solo il titolo del film, è un progetto di vita. Di fronte a problemi senza via di uscita, all'ottusità di chi dovrebbe trovare risposte, ad un sistema economico e politico che, a ogni congiuntura sfavorevole, toglie lavoro ai poveri e ai più indifesi, cosa si può fare? Di fronte a tentativi che falliscono e quindi al senso di impotenza che ne deriva come si può reagire? L'unica risposta che trova il direttore e maestro, Daniel, di una scuola materna situata ad Harnaing (Nord Est della Francia), una cittadina ex mineraria nella regione di Valenciennes, è provare a “ricominciare da oggi”, come se ogni giorno contasse per se stesso.
«Dai nostri padri abbiamo ereditato un mucchio di pietre e il coraggio di sollevarle» egli scrive, e questo coraggio lo trova anche se tra mille contraddizioni.
La forza di ricominciare da capo la ricerca nei volti dei suoi bambini e delle sue bambine che soli possono darci il senso di un futuro, la tenacia per tentare di dargli un avvenire diverso da quello dei loro genitori.
I bambini non possono aspettare, quello che si può fare lo si deve fare subito se davvero li si vuole aiutare.
Daniel, il direttore, è al centro dei diversi fili narrativi del film. Intorno a lui ruota una cittadina con tutti i suoi problemi: la disoccupazione dopo la chiusura delle miniere, i conseguenti problemi economici che ricadono sulle famiglie e quindi sui bambini.
È, infatti, grazie alle molte facce del suo personaggio che nasce il significato profondamente umano della storia: Daniel interagisce tutti i giorni con queste famiglie disastrate e senza speranza, con i bambini, con le gerarchie burocratiche, con il sindaco comunista, con la sua compagna, con un sottoproletariato abituato agli stenti e alla rassegnazione, alla miseria e all'accettazione passiva della contingenza.
E sotto i nostri occhi scorrono storie vere da cui spesso nella nostra vita distogliamo lo sguardo: una madre con vergogna abbassa gli occhi mentre Daniel chiede i trenta franchi di cassa comune che le famiglie dovrebbero dare ogni tre mesi: tale somma sfama la famiglia fino alla fine del mese (episodio accaduto veramente e che pare abbia ispirato l’intera stesura della sceneggiatura), la signora Henry si rifiuta di recarsi al comune per un sussidio perché teme che le tolgano l’affidamento dei figli, la piccola Wendy che al luna park guarda le attrazioni e la madre che non può soddisfare le sue lecite esigenze. L’abitazione, in cui abbiamo modo di entrare, della stessa signora Henry, buia perché priva di energia elettrica, fredda perché senza riscaldamento, disordinata perché lasciata andare alla deriva, rappresenta tutti gli aspetti problematico di un contesto e ci raccontano a che punto può arrivare la vita di una famiglia sotto l'indifferenza di chi potrebbe o dovrebbe fare qualcosa.
L’economia segue il suo imperturbabile corso, le famiglie possono soltanto resistere eroicamente, anche se molte non ce la fanno e soccombono. Daniel per poter andare avanti può soltanto far leva sugli sguardi sinceri, pieni di speranza che offrono gli stessi bambini della scuola e che guardano, nel finale della pellicola, verso l’obiettivo della macchina da presa: sono loro il domani, saranno loro il motore che può cambiare la società, grazie a loro si può ‘ricominciare da oggi’.
Daniel affronta i problemi dei suo alunni di petto e si trova di fronte ad un sindaco di Harnaig, comunista, sordo alle richieste di aiuto del maestro, si scontra con l’ottusità della burocrazia e la colpevole insensibilità dei servizi sociali, (quando Daniel prova a mobilitare gli assistenti sociali per aiutare la famiglia Henry ottiene, al contrario, la visita di un ispettore che verifica il suo lavoro a scuola).
C'è nei personaggi legati a queste istituzioni l'incapacità di guardare i problemi in tutta la loro drammaticità trincerandosi dietro a numeri e statistiche senza anima e dietro regolamenti che sono una gabbia dietro a cui nascondere la verità troppo scomoda della realtà.
Incontrerà momenti di disperazione, sarà tentato di lasciare e di arrendersi.
C'è nei personaggi legati a queste istituzioni l'incapacità di guardare i problemi in tutta la loro drammaticità trincerandosi dietro a numeri e statistiche senza anima e dietro regolamenti che sono una gabbia dietro a cui nascondere la verità troppo scomoda della realtà.
Incontrerà momenti di disperazione, sarà tentato di lasciare e di arrendersi.
Un cinema-verità, quello di Tavernier, che svela un pezzo di mondo che tutti cercano di dimenticare, ma che esiste, come conferma il fatto che il film sia stato tratto da un’esperienza vera, quella dello sceneggiatore e maestro d’asilo Dominique Sampiero. E' un film che ci parla del coraggio che sarebbe necessario a chi intraprende il mestiere di insegnante per poter svolgere in modo dignitoso il proprio ruolo in quelle situazioni difficili per l'arretratezza sociale e culturale, ma bisognose ancora di più di una scuola efficiente ed accogliente, di un maestro che non si arrenda e che lotti con loro e per loro.
Un film che ci racconta quanto sia etico l'impegno di ognuno proprio là dove sembra regnare solo l'impossibile.
Un film che ci racconta quanto sia etico l'impegno di ognuno proprio là dove sembra regnare solo l'impossibile.
Lo staff dell’asilo non si arrende mai, affronta unito ogni nuovo problema che si presenta, cerca soluzioni e le trova lavorando sodo. Gli attori presenti sono tutti all'altezza del non facile compito, a cominciare dai bambini, sorprendenti - come spesso accade - nella loro spontaneità.
Molto è merito ovviamente dell’attenta regia, ma anche del bellissimo rapporto che Philippe Torreton deve essere riuscito a stabilire anche nella realtà con i suoi piccoli partners. L’attore si lancia anima e corpo nell'impresa con impeccabile naturalezza. Sulle riprese, lo stesso Bertrand Tavernier ha dichiarato :
«Durante la lavorazione del film, ho cercato di mantenere un atteggiamento critico, anche quando una scena mi toccava nel profondo o un attore riusciva a sconvolgermi. Ho provato a non lasciarmi accecare da emozioni troppo forti, anche se in più di un’occasione mi sono veramente commosso. Sono costantemente in preda al dubbio, soprattutto in un film come questo, la cui costruzione è aperta, molto libera. Durante le riprese, modificavamo continuamente la sceneggiatura, scrivevamo nuove scene in studio, alcune battute sono frutto di improvvisazione da parte dei personaggi » (tradotto liberamente dal sito Allociné.com).
Tavernier, dal canto suo, lascia che la realtà si mostri da sé. Con uno stile quasi documentario, attento ai movimenti delle figure all'interno del campo, condotto senza stacchi di montaggio, senza alcuna scelta registica tesa a sottolineare un aspetto a scapito di un altro, Tavernier osserva un universo, senza cercare di caratterizzarlo, facendo in modo che la verità scaturisca dagli ambienti, dalle figure di contorno, dal volto triste di un bambino con una particolare situazione familiare, da una minima azione condotta da Daniel in quel microcosmo. Ecco quindi assurgere a protagonisti quelli che solitamente ne sono esclusi, la massa indistinta e dolorosa che compie salti mortali per educare i propri figli o che si barcamena disperatamente nel tentativo soltanto di sfamarli.
«Durante la lavorazione del film, ho cercato di mantenere un atteggiamento critico, anche quando una scena mi toccava nel profondo o un attore riusciva a sconvolgermi. Ho provato a non lasciarmi accecare da emozioni troppo forti, anche se in più di un’occasione mi sono veramente commosso. Sono costantemente in preda al dubbio, soprattutto in un film come questo, la cui costruzione è aperta, molto libera. Durante le riprese, modificavamo continuamente la sceneggiatura, scrivevamo nuove scene in studio, alcune battute sono frutto di improvvisazione da parte dei personaggi » (tradotto liberamente dal sito Allociné.com).
Tavernier, dal canto suo, lascia che la realtà si mostri da sé. Con uno stile quasi documentario, attento ai movimenti delle figure all'interno del campo, condotto senza stacchi di montaggio, senza alcuna scelta registica tesa a sottolineare un aspetto a scapito di un altro, Tavernier osserva un universo, senza cercare di caratterizzarlo, facendo in modo che la verità scaturisca dagli ambienti, dalle figure di contorno, dal volto triste di un bambino con una particolare situazione familiare, da una minima azione condotta da Daniel in quel microcosmo. Ecco quindi assurgere a protagonisti quelli che solitamente ne sono esclusi, la massa indistinta e dolorosa che compie salti mortali per educare i propri figli o che si barcamena disperatamente nel tentativo soltanto di sfamarli.
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