Regia e sceneggiatura di Ari Folman. Doppiatori: Ari Folman, Mickey Leon, Ori Sivan, Yehezkel Lazarov, Ronny Dayag, Shmuel Frenkel, Dror Harazi, Ron Ben-Yishai. Genere Animazione, drammatico, colore. Durata: 87 minuti. - Produzione Israele, Germania, Francia 2008, IMDb 8.2/10
Un cane nero corre latrando per le vie di Tel Aviv. Altri cani neri con il fuoco di Caronte negli occhi si uniscono a lui, travolgendo in branco tutto quello che incontrano e i denti digrignati in un ringhio terribile, che invadono le buie strade di una pacifica città.
I loro occhi gialli e i loro denti scoperti cercano qualcuno, o forse annunciano qualcosa. Finalmente si fermano, e tendono le fauci verso l'alto. Il loro latrato si fa ancora più terribile, e i loro occhi più feroci. Un uomo li osserva. Inizia così, con questi mostri urlanti, Valzer con Bashir, scritto, realizzato e prodotto dall'israeliano
Questo è il sogno di Boaz, coetaneo del regista e suo compagno nella guerra in Libano che glielo racconta seduto con lui in un bar. I cani, 26 in tutto, sono i morti lontani e mai dimenticati che tornano, e che urlano alla sua coscienza. Ha dovuto ucciderli uno ad uno perché non attirassero l’attenzione dei palestinesi.
L'altro incubo, anch'esso ricorrente, è invece quello che tormenta le notti di Ari. Insieme con tre compagni, Ari emerge dal mare calmo di fronte a Beirut. È buio, e i quattro sono nudi. Poi, arrivati sulla terraferma, si vestono e si armano. Il sogno s'interrompe qui, senza svelare nient'altro. L’uomo ricorda i suoi compagni ma non ricorda ciò che è accaduto, vede solo se stesso al mare e le sagome nere degli altri militari davanti alla città. Nient’altro.
Quando Boaz gli racconta dei cani, Ari capisce che anche il suo incubo è legato alla guerra,e in particolare a Sabra e Shatila. Nella sua memoria ben poco è rimasto di quei mesi lontani, e niente addirittura del massacro.
«Ero stato colpito - racconta in un'intervista - come molti altri miei commilitoni da uno stress post-traumatico: avevo enormi buchi di memoria di quel mio periodo di guerra. Per essere esonerato dagli obblighi di riservista a 40, anziché 50 anni, ho dovuto consultare lo psicoterapeuta: sono andato in psicoterapia, ma poi ho preferito fare un film che potesse essere terapeutico».
Da questo buio della mente, prende il via "l'inchiesta" di Folan che finalmente, dopo vent'anni, vuole sapere. E lo fa spinto proprio dalla scoperta del nulla che in lui sembra rimasto di un'esperienza così dura e feroce.
La nostra memoria nel tentativo di proteggerci può rimuovere i ricordi, certo non cancellare. Rimangono lì sepolti e, come succede al regista, possono riemergere inaspettati quando uno pensa di averli persi per sempre. Ecco allora riemergere immagini, odori e sensazioni di un passato che avevamo deciso di non aver mai vissuto.
Così Ari torna indietro nel tempo e anche nello spazio, per ritrovare amici e testimoni. Va due volte a trovare un commilitone in Olanda e altri ne incontrerà in seguito.
Il ricordo rimosso da Folman porta il nome di Sabra e Shatila, i due campi profughi palestinesi di Beirut Ovest, dove nel settembre del 1982 avvenne uno dei più terribili massacri di civili successivi alla Seconda Guerra Mondiale, ad opera delle milizie falangiste cristiane sotto lo sguardo consenziente dell'esercito israeliano.
Folman , come molti soldati israeliani, aveva diciannove anni e indossava una divisa militare, in mano un mitra e negli occhi la paura.
Di ricordo in ricordo, di testimonianza in testimonianza, il film dà un'immagine sconvolgente non solo della strage di inermi profughi palestinesi con cui i falangisti libanesi vendicarono barbaramente la morte del presidente cristiano Bashir Gemayel, ma della vita quotidiana sotto le armi.
Il valzer con Bashir è quello che il soldato Frenkel, amico del protagonista, intraprende sotto una pioggia di pallottole solo per fare dispetto al nemico, davanti all'enorme immagine-simbolo di Gemayel Bashir. È una scena toccante e allucinante nello stesso tempo.
Pian piano, qualcosa torna alla luce: notti e giorni passati su un autoblindo, mitragliando e uccidendo, nella speranza di non essere mitragliati e uccisi; i corpi crivellati di un libanese e della sua famiglia riversi dentro un'auto.
E poi ancora corpi di feriti e di morti ammassati come cose, in attesa d'essere caricati su grandi elicotteri...
Il regista non vuole parlare volutamente di ragioni o di torti. Quello che vuole raccontare è l’orrore della guerra e l'orrore incredulo che pian piano si diffonde tra i soldati israeliani schierati attorno il campo di Sabra e Shatila, a partire dal pomeriggio di quel 16 settembre. Dall'alto delle loro postazioni, vedono e sentono i falangisti all'opera.
E quel che vedono e sentono, – così dice un personaggio ad Ari – i loro nonni e padri hanno visto e sentito quarant'anni prima, in Europa. Di questo parla il sogno di Ari? Di un eccidio che ritorna, di una crudeltà che è proprio dell’uomo e che non ha mai fine.
In tutte le guerre i rapporti di complicità, alleanze, accordi e disaccordi sono sottili e intricati. L’amico psicologo, alla fine del film, dice che Folman non ha colpe per quanto riguarda il massacro, la colpa fu interamente dei falangisti cristiani (il movimento delle Falangi Libanesi fu fondato nel 1936 da Pierre Gemayel, padre di Bashir, sotto l’influsso dei gruppi di estrema destra spagnoli e italiani), “gli assassini e i cerchi intorno a loro non sono la stessa cosa”. Folman era in uno dei cerchi concentrici che i soldati israeliani formarono intorno ai luoghi dello sterminio per “sorvegliare” (o coprire?) la situazione. Non sanno cosa sta succedendo ma eseguono un ordine, finché qualcuno non si accorge che si spara a donne e bambini, che portano via gruppi di civili che non tornano più.
Il giornalista Ron Ben-Yishai telefona al presidente Sharon, possibile che lui non sia al corrente, non faccia qualcosa? Sharon ringrazia per l’informazione, augura buon anno e mette giù.
Folman capisce ora in che consiste la sua colpa: non è quella di aver sparato a una donna o a un bambino inerme, ma semplicemente di esser stato presente. Di aver visto. Di aver registrato quelle immagini, quegli odori e quelle sensazioni che la sua memoria ha poi tentato inutilmente di cancellare.
E la vita, quella di una volta, la famiglia, la ragazza appaiono lontane e irraggiungibili da quell'inferno.
Valzer con Bashir non ha il ritmo di un film d'azione e di guerra, al contrario i tempi sono quelli della riflessione, dello scambio di ricordi e di sofferenze tra Folman e gli altri ex-soldati.
Nel film Valzer con Bashir, il giornalista Ben-Yishai ricorda di aver visto nel campo profughi di Sabra e Chatila dopo il massacro del 1982
«D'un tratto scorsi una manina, la mano di un bimbo o di una bimba, che spuntava dalle macerie. Guardai meglio e vidi dei riccioli, una testa ricciuta, coperta di polvere. Una mano e una testa... Mia figlia aveva circa la stessa età di quella ragazzina e i capelli ricci...». Questo è la guerra e come tale non ha giustificazioni.
Folman usa il disegno animato forse nella consapevolezza che gli strumenti tradizionali del cinema e della finzione non sono più sufficienti per raccontare i drammi della Storia: siamo troppo assuefatti al bombardamento di immagini che ci arrivano da tutte le televisioni e per «catturare» la nostra attenzione ci vuole qualche cosa di fuori dal comune, che evochi anche emozioni, atmosfere interiori.
Solo nelle ultime inquadrature alle immagini di animazione si vengono a sostituire delle immagini reali d’archivio: una scelta questa molto efficace.. Le immagini reali sono un vero pugno allo stomaco; il risveglio del personaggio, il recupero della memoria del suo vissuto è allo stesso tempo anche una scossa per lo spettatore. Tutti dobbiamo ricordare e conservare nella memoria: l’irrompere delle immagini colpisce con forza attraverso dei dettagli crudeli: un lembo di stoffa, l’espressione fugace di un volto, le voci, la polvere…
Valzer con Bashir solleva la questione sul dovere della memoria, sul dovere che abbiamo di non permettere che ciò che è stato si trasformi impercettibilmente in un qualcosa che non è mai esistito.
La preparazione di questo film è durata quasi quattro anni. Il lavoro di investigazione, effettuato in un primo tempo, è stato enorme: sulle 120 testimonianze ed interviste che raccoglie il regista non ne integrerà che nove nel film. In seguito Folman raggruppa intorno a sé, dapprima a sue sole spese, i migliori disegnatori e specialisti dell’animazione in Israele.
Si tratta di uno stile unico che mescola animazione Flash, 2D e 3D con una cura molto particolare per gli effetti di luce ed ombra e una scelta molto riuscita dei colori.
Il film è a tratti ipnotico, i sogni ricorrenti.
Ottima è la sceneggiatura che alterna incessantemente, senza mai perdere la sua coerenza, scene attuali e flashback, immagini reali e immagini mentali, in un viaggio nel labirinto della memoria. A parte i dialoghi di Ari con i suoi amici e le interviste il resto è per la maggior voce fuori campo.
Le immagini del passato sorgono dai racconti, dalle parole dei testimoni, animate dal racconto e dal potere di suggestione della musica. All'effetto di dissociazione creato dall'uso della voce fuori campo, si aggiungono i movimenti rallentati dei personaggi che conferiscono alle scene di violenza l’atmosfera di un incubo: sogno e realtà si mescolano e contaminano.
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