martedì 7 maggio 2013

Born into Brothels di Zana Briski

Nel 1995 l'obiettivo della fotografa Zana Briski si è focalizzato sulla condizione femminile in India. Venne, perciò, condotta a Sonagachi, zona a luci rosse di Calcutta, dove riuscì ad affittare una stanza in un bordello.

La prima volta che Zana Briski è partita per l’India è stato nel 1995, "senza una vera ragione, sentivo semplicemente che dovevo recarmi lì". E’ tornata dopo due anni e ce ne sono voluti altri due per essere accettata da quelle donne.
Born into Brothels è uno splendido affresco di un mondo a parte - qual è l'immenso quartiere bordello di Calcutta - che vive di regole e leggi proprie. Si tratta di una piccola città nella città, ben delimitata, in cui intere famiglie vivono di prostituzione: la madre si prostituisce nello stesso letto in cui dorme l'intera famiglia (la casa è spesso un'unica stanza), e i bambini si occupano dei lavori più svariati, dalle pulizie alla vendita di liquori, fino al - quasi - inevitabile destino di prostituzione; ci sono famiglie con una storia di prostituzione che procede con il loro albero genealogico, di madre in figlia. 
Per la fotografa non era facile entrare in contatto con queste donne, più immediato è stato invece il contatto con i loro figli che l'hanno subito avvicinata incuriosendosi del suo lavoro con la spontaneità tipica dei bambini.
"Mi chiedono aiuto in continuazione - racconta la Briski nel filmato - ed è straziante, perché posso fare così poco".
Di fronte a loro si sente impotente, e la macchina fotografica è l’unica risorsa che possiede. Decide di usarla per tenere loro un corso di fotografia. Diventa quindi per tutti "zia" Zana.
 
"Fui subito attratta dall’immediato rapporto che si era instaurato con i loro figli, fu allora che decisi di insegnare loro la fotografia. Ho usato la macchina fotografica per comunicare con i bambini e, allo stesso tempo, per conoscere attraverso i loro occhi il mondo che mi circondava”.
Lei sa che il loro futuro sembra segnato e senza via di uscita: in particolare le ragazze si sposeranno a 11 anni o saranno avviate al mestiere delle madri a 14 anni, ma ha una chiara consapevolezza:

"I ragazzini che vivono nel bordello ce l’hanno una mamma, una famiglia, a cui sono anche molto legati. Io non sono andata lì con lo scopo di salvarli, ma con quello di conoscerli, di ascoltarli e di soddisfare il più possibile le loro richieste, e i loro desideri.
Mi sono valsa dell’aiuto di alcuni interpreti, anche non professionisti, chiunque fosse disposto ad accompagnarmi nel bordello".

I bambini sono curiosi, hanno voglia di imparare e soprattutto rispondono all’attenzione di un adulto davvero interessato a loro e alla loro vita. Succede così che questi bambini imparano a guardare il loro mondo attraverso l’obiettivo, si aggirano per le strade e ricavano foto che, in alcuni casi, raggiungono l'eccellenza. Il loro sguardo si posa senza sosta su persone, oggetti, situazioni, storie.

Alla fine del lavoro, la fotografa analizza con loro i risultati ottenuti. Questi incontri diventano un'occasione per raccontare e raccontarsi, per far emergere le vicende personali di ciascuno, e nello stesso tempo sono esperimenti, tentativi di dare ai bambini uno stimolo che li aiuti ad esprimere se stessi, che insegni loro a farsi le proprie opinioni e a fare le proprie scelte.
La videocamera riprende il volto dei bambini, le loro parole, le loro fotografie: riprende la loro vita vissuta nel dedalo di strade di un quartiere a luci rosse, tra le mura di un bordello, a rincorrersi e a giocare, a lavorare sin dalla prima mattina.
Ma in questo universo di disperazione, questi bambini sanno anche sorridere: nonostante il degrado che li circonda, cercano la vita.
Il gruppo che lavora con la fotografa è formato da una decina di bambini dai 9 ai 14 anni.
Le immagini scattate da questi bambini sono il riflesso di una condizione difficile a cui loro guardano con fresca e profonda non rassegnazione.
Man mano che vive con loro, Zana si convince che l'unico modo per salvarli da un percorso già inesorabilmente tracciato è iscriverli a scuola e farli studiare, ma incontra resistenze nei parenti - c'è il problema che alcuni di questi bambini non risultano neppure all'anagrafe, sono fantasmi senza diritti per lo stato indiano.
La fotografa inglese di origini irachene è costretta quindi a combattere contro una burocrazia farraginosa, ma è aiutata da un fatto inaspettato: le immagini scattate dai piccoli piacciono, destano interesse e vengono messe in mostra in gallerie americane ed europee. Questo smuove un po' le acque e snellisce le pratiche ancora antiquate della municipalità di Calcutta.

I bambini intanto, sempre più legati a "zia" Zana, scoprono che la vita può avere orizzonti più vasti.

C'è in particolare Avijit che dimostra subito un grande talento per la fotografia e riceve un premio internazionale che lo porterà ad Amsterdam. Il viaggio lo salverà dalle drammatiche vicende che coinvolgono la sua famiglia con un padre drogato e una madre prostituta, che viene bruciata viva dal suo protettore.
Avijit si convince pian piano che solo il suo talento potrà salvarlo e condurlo lontano da quella vita squallida e la sua vicenda ci tocca e ci commuove, insegnandoci molto di più di mille saggi sull'argomento. Ma tutti i bambini in qualche modo vengono toccati da questa esperienza:
"Zia Zana ci insegna così bene che tutto va nel nostro cervello, e ci dimentichiamo di fare il nostro lavoro," dice uno dei bambini nel film. Con lei hanno anche l'occasione di concedersi qualche svago come andare al mare. Tutta questa esperienza si trasforma ben presto in un film, grazie al contributo di Ross Kauffman, documentarista di grande esperienza, all'inizio riluttante ma in breve tempo conquistato completamente dal progetto. Alle immagini vengono associate anche le fotografie effettuate dai bambini, che hanno peraltro fatto il giro del mondo e le stupende musiche sapientemente arrangiate da John McDowell, che sanno ben sottolineare i momenti drammatici, quanto esaltarci in quelli di giubilo
Questo lungometraggio riprende le lezioni, i momenti di vita e di lavoro di questo gruppo di bambini indiani. Ha vinto l’ Oscar nel 2005 ed è stata una grande esperienza di vita i per i due registi. Hanno compreso quanta esperienza si nasconde nell’animo di questi bambini che difficilmente qualcuno ascolta: i piccoli osservano e con semplicità e analizzano le loro vite parlando lucidamente di problematiche di cui non dovrebbero nemmeno immaginare l’esistenza.

Dana Briski, insieme ad altri fotografi, hanno fondato, un'organizzazione no profit che ha l'obiettivo di aiutare altri bambini, replicando l'esperienza di Calcutta. Quasi tutti i piccoli fotografi di cui si parla nel film non hanno avuto il permesso di frequentare la scuola o l'hanno lasciata poco dopo, ma Avijit continua a studiare e c'è da scommettere che farà fruttare il suo splendido talento.
 

"Il film è solo un’istantanea, un attimo di tempo che è parte del progetto in cui siamo tuttora coinvolti. Siamo in costante contatto con i bambini del film. Avijit, ad esempio, vive negli Stati Uniti e ha appena completato un corso di cinema al Sundance Insitute. Molti dei ragazzi continuano a studiare, altri hanno deciso di tornare a casa. Noi li sosteniamo in ogni loro scelta, qualsiasi essa sia, anche perché non è detto che l’istruzione sia la cosa migliore per ognuno di loro".
Il contrasto comunque tra la loro vitalità e la triste realtà è straziante
“La vita quotidiana nel quartiere a luci rosse era molto dura, sia dal punto di vista emotivo che da quello fisico, ma era una vita molto “reale”. Mi è stato difficile tornare alla vita della classe media che, dopo l’esperienza in India, mi è sembrata piuttosto falsa. ...”.
"Quando scatto fotografie non mi sento mai un’osservatrice, riesco a coinvolgermi molto facilmente nella situazione in cui sono, mi sento subito parte di essa e questo i bambini lo hanno avvertito. Mettendo nelle loro mani la macchina fotografica ho semplicemente voluto rappresentare anche il loro punto di vista".

1 commento:

  1. Ho visto di recente il film al Mic di Milano. Mi è piaciuto tantissimo, bravi i registi, brava la fotografa e ottimo il taglio. Mi è piaciuto lo sguardo disincantato ma affettuoso, la mancanza di voyeurismo e di sciocco pietismo. E poi si vede che dietro ci sono una mente e un cuore femminile. Finale giusto, secco, da inchiesta giornalistica. Da "così purtroppo è la vita". Ho trovato un po' invadente la colonna sonora: per "nobilitare" la situazione e dare leggerezza al contesto?

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