Un film di Calin Netzer. Con Luminita Gheorghiu, Bogdan
Dumitrache, Ilinca Goia, Natasa Raab, Florin Zamfirescu. Titolo originale
Pozitia Copilului. Drammatico, durata 112 min. - Romania 2013. -
Calin Peter
Netzer ha scritto e diretto un film straordinario dal titolo italiano: il titolo originale è Pozitia
Copilului, letteralmente “la posizione del bambino”, un riferimento alla
posa del bambino nell’utero materno. Il è un piccolo viaggio claustrofobico all’interno
dell’amore materno, un amore invasivo, soffocante, ostinato:
Attraverso vicende intime e
singolari, il film racconta la realtà sociale della Romania uscita dal comunismo
di Ceausescu: a far da sfondo alla vicenda di un rapporto familiare, c’è
infatti quella di un tessuto sociale che pare sempre pronto a piegarsi all’interesse
e alla convenienza privata, a dominare con prepotenza chi è più debole. Al
centro la figura di Cornelia, madre ossessiva e oppressiva.
Cornelia è una donna ricca e
influente, vive a Bucarest e ha una laurea in Architettura; ha lavorato come
scenografa, ha conoscenze influenti e sicuramente sa come come ottenere ciò che
vuole.
Il centro della sua vita è il rapporto difficile con l’unico figlio
Barbu, che ha più di trenta anni e vive con Carmen, che ha già una bambina. Corneliaè
una madre ossessiva e oppressiva.
Il marito è una figura di sfondo, succube della moglie.
Tutto il suo mondo, però, si
sgretola quando suo figlio investe e uccide un ragazzino di un quartiere molto
povero. Questo lo spunto narrativo attraverso il quale il regista racconta il cinismo
di una borghesia di sessantenni arricchiti e lo smarrimento dei loro figli nella
società rumena di oggi.
L’incidente, evento chiave della
vicenda, è da poco avvenuto, e già la donna si attiva per capire come sistemare
le cose: prima affronta i poliziotti, poi corrompe un testimone, infine prova a
risarcire i genitori della vittima. Una determinazione che nessuno sembra
capace di ostacolare, a eccezione, forse, di uno suo figlio.
Child’s pose è il
ritratto di un morboso rapporto madre - figlio: Cornelia ha riversato su Barbu tutta la sua attenzione, tutta la sua vita è sempre ruotata attorno al suo
benessere, ma in realtà mette in luce la sua inesorabile volontà di averne il controllo.
In una situazione di questo tipo
ci si ritrova quasi a parteggiare per il figlio: vittima dell’educazione che ha
ricevuto, dell’eccesso di attenzioni di cui è stato oggetto, di un intreccio di
relazioni che lo protegge da ogni colpa. Dell’incidente si parla non per
comprendere cosa è realmente accaduto, ma per trovare un modo per coprire ogni
eventuale responsabilità. L’unico obiettivo della madre è salvare il figlio dalle conseguenze
di quel tragico evento. La questione al massimo viene ridotta a un livello
economico.
In questa situazione la madre è disposta anche a patteggiare con l'odiata nuora perchè l'aiuti nelle sue azioni a favore del figlio. Il dialogo fra di loro è serrato e verranno svelati segreti che erano sempre stati nascosti.
La morte violenta del bambino
viene strumentalizzata da Cornelia come un’occasione per riappropriarsi del
figlio, per accudirlo, strapparlo alla sua compagna e rifarne il bimbo che era.
Il figlio è la ragione di vita di
Cornelia e non le importa di essere amata, è disposta ad accettare anche il suo
odio. Ma anche il figlio prende questo avvenimento come un'occasione, quella di
sganciarsi dalla madre, per imporre un altro stato delle cose: Barbu le chiede
di star fuori dalla sua vita, di non chiamare, di aspettare il giorno in cui
lui si sentirà di chiamare lei: in questo modo cerca di sottrarsi al potere
della madre, il suo rifiuto è radicale. La madre comprende che il suo dominio è
tramontato, si scopre sola e impotente: il suo destino è nelle mani di colui al
quale ha consacrato la sua esistenza. “La vostra generazione dovrebbe sparire”
dice il figlio alla madre.
Il regista nato in un paese che
ha vissuto una lunghissima e tremenda dittatura sposta il tema del
totalitarismo dal piano politico e storico a quello esistenziale, a quello
dell’animo umano. L’amore possessivo, infatti, priva della libertà tutti: la
madre perde la sua indipendenza e la sua vita ruota tutta intorno a quella del
figlio. Il figlio non è libero di crescere, di diventare l’uomo che vorrebbe
essere. E’ così che la madre è grintosa ed esperta della vita e il figlio è impreparato a vivere e soprattutto
incapace di assumersi le sue responsabilità.
La scena più forte è quella
finale, quando il potere della ricca borghesia si scontra con la dignità del
mondo contadino: Cornelia si reca dai genitori del bimbo e fa le veci del
figlio. In parte recita, in parte è sopraffatta da quanto avviene, piange,
implora che abbiano pietà di suo figlio, avviene così sì che la morte del bimbo
da tragedia della famiglia del piccolo diventi tragedia personale sua e del
figlio. Il padre del bambino dimostra la sua superiorità morale rispondendo a
Cornelia: “io voglio giustizia, voglio
che il colpevole vada in galera, se la legge dice che sono io colpevole perché
non ho insegnato a mio figlio che deve guardare prima di attraversare la
strada, bene, allora in galera devo andarci pure io”. Il messaggio è forte:
non esiste libertà senza responsabilità e le due parole finiscono sempre per
coincidere. Ed è un messaggio diretto anche alla società nel suo complesso, un’indicazione
per uscire dal degrado e dalla corruzione.
Splendida la prova degli attori,
sopratutto quella di Luminita Gheorghiu, capace di esprimere in modo magistrale
ogni sfumatura di sentimento e di affrontare la scena di sconvolgente emotività
della visita alla famiglia del bambino ucciso. La donna è come sempre
intenzionata a risolvere tutto con una generosa elargizione di denaro ma a
contatto col dolore dignitoso della famiglia del bambino, cede alla commozione
e sembra veramente toccata dalla sofferenza dei due genitori. I dubbi
riguardanti l'effettivo cambiamento dei protagonisti rimangono però sino allo
scioglimento finale e oltre, a testimoniare l'impossibilità di afferrare e
comprendere tutti i rivoli del reale.
A me sembra che in questo film sia vero quello che dice Silvia Di Lorenzo che scrive:
"Spesso la madre, dominata o sopraffatta dalla responsabilità dell'educazione, finisca per arroccarsi nell'Animus (la parte maschile presente in ogni donna), sacrificando la sua femminilità. Ma non si accorge che così cade nel ruolo dell'eroina, che porta sempre con sè, come ombra segreta,una vittima". la vittima dice Galimberti: "eè il figlio cresciuto dalle 'cure materne'. Ma queste cure non emancipano mai, e il figlio si attarda in quella forma di esistenza che è la simbiosi, non la relazione" (da Umberto Galimberti - Idee il catalogo è questo)
A me sembra che in questo film sia vero quello che dice Silvia Di Lorenzo che scrive:
"Spesso la madre, dominata o sopraffatta dalla responsabilità dell'educazione, finisca per arroccarsi nell'Animus (la parte maschile presente in ogni donna), sacrificando la sua femminilità. Ma non si accorge che così cade nel ruolo dell'eroina, che porta sempre con sè, come ombra segreta,una vittima". la vittima dice Galimberti: "eè il figlio cresciuto dalle 'cure materne'. Ma queste cure non emancipano mai, e il figlio si attarda in quella forma di esistenza che è la simbiosi, non la relazione" (da Umberto Galimberti - Idee il catalogo è questo)
Il caso Kerenes ha vinto il 28° Festival Internazionale di film francofoni di Namur e il Festival Internazionale del cinema di Berlino.
segnato!
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