Un film di Lenny Abrahamson. Con Pat Shortt, Conor
Ryan, Anne-Marie Duff, Don Wycherley, Andrew Bennet, durata 85 min. - Irlanda 2007- IMDb 7,0
L’infame congiura del mondo normale di Roberto Escobar
«Vero!»: così Josie (Pat Shortt) annuisce, ogni volta che
gli si dice qualcosa. Anche se gli si dà torto, è questa la risposta gentile e
remissiva del protagonista di Garage ( Irlanda, 2007, 85′). Per lui non c’è
possibilità di opporsi, di far valere una sua opinione. Nessuno sembra
obbligarlo a questa continua resa. Semmai, quel che lo obbliga sta dentro di lui,
come un’antica abitudine a cercar d’essere amato.
Chi è il protagonista del film di Leonard Abrahamson, e
dello sceneggiatore Mark O’Halloran? Da dove viene la sua storia di marginale?
Lavora in una stazione di servizio di un vecchio compagno di scuola, Josie. E
possiamo ben immaginare il suo passato, in una minuscola città d’Irlanda. Mai
ha vissuto una vita sua. Mai i suoi coetanei l’hanno accettato come un “uguale”
in quel che più conta nella biografia di un uomo: nell'amore, per esempio, e
nell'amicizia, nel lavoro. Il suo corpo è troppo goffo. Ed è troppo goffo il
suo sorriso, troppo aperto e troppo ingenuo. Di lui si può aver pietà. Ma più
spesso di lui si ride, raccolti in un’infame congiura dei “normali”. Josie
vorrebbe un proprio posto nel mondo minimo in cui da sempre gli tocca campar la
vita. E pensa, onesto e ingenuo com'è, che il modo migliore d’ottenerlo sia far
bene il proprio mestiere di benzinaio.
La sua giornata è fatta di piccole cose.
Pochi sono gli automobilisti che si fermano alla sua pompa, e ancor meno sono
quelli che davvero si accorgono di lui. Eppure ci si impegna, come se non d’un
mestiere fra tanti si trattasse, ma d’una condizione di vita, fors’anche d’una
missione. Poi, dopo l’ora di chiusura, che cosa gli resta? Una cena solitaria,
cucinata nel retro della stazione di servizio, una partita di calcio in tivù o
alla radio, e alla fine un salto al pub, per bersi una birra, come se anche lui
l’avesse, un posto in quel mondo minimo.
Non capisce quel che gli sta intorno, Josie? Non ne vede il
disamore o almeno l’indifferenza? Oppure in lui c’è una comprensione più
profonda, e una speranza anch’essa profonda che disamore e indifferenza
finiscano per esser vinte dal suo stesso desiderio d’essere amato? Di certo, è
pieno di coraggio questo piccolo uomo. È sempre lui il primo a offrirsi: a
sorridere, a rendersi utile, a dare affetto.
Così fa con Carmel (Anne-Marie
Duff), che ama di un amore discreto e senza speranza. E così fa con David
(Conor Ryan), il ragazzino che l’aiuta alla stazione di servizio. Come se ne
fosse un fratello maggiore, con l’orgoglio di chi già sa, lo introduce ai
segreti del mestiere. E poi, la sera, gli offre qualche birra, mentre seduti
sul retro guardano calare il sole.
C’è poi un camionista, forse un amico, il solo che non si
fermi a far benzina senza neppure guardarlo.
Va in giro per il mondo, arriva
addirittura fino a Bruges, in Belgio, per portare il suo carico di polli morti.
E a Josie pare che niente di più entusiasmante possa capitare a un uomo.
Vorrebbe andarsene, anche lui. Vorrebbe andare magari in
Inghilterra, dove un tempo –così racconta – gli era capitata l’occasione di
lavorare. E invece eccolo qui, sulla sua sedia davanti alla porta della
stazione di servizio. Gli pesa quella sedia, immobile come la grande gomma
d’automobile cui qualcuno ha legato un cavallo. Lo incontra ogni giorno, legato
al di là d’un recinto, di ritorno dal centro della cittadina. Lo chiama, lo
accarezza, gli dà qualche mela. E quello lo guarda con occhi tristi come i
suoi, e come i suoi pieni di inutile dolcezza.
Poi, un giorno uguale a tanti altri, qualcuno sospetta che
Josie sia pericoloso per David. Come potrà mai liberarsi del peso di quel
sospetto? Come a ogni vittima, a lui è negato in primo luogo il diritto di
farsi ascoltare, di chiedere comprensione o anche solo giustizia. E allora non
gli resta che fare a sé quel che a visto fare a una cucciolata di bastardini.
Basta niente, per levare dal mondo chi appunto non sia niente. Ed è questa la
prima volta che Josie si ribella, e che vince il peso di quella sua tale sedia
e che parte per un viaggio finalmente suo. Se qualcuno glielo facesse notare,
se qualcuno gli dicesse che nella sua morte trova finalmente la libertà, non
avrebbe dubbi. «Vero! », risponderebbe. E sorriderebbe gentile.
Da Il Sole-24 Ore, 5 luglio 2009
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