Un film di Alain Resnais. Con Sabine Azéma, André
Dussollier, Anne Consigny, Emmanuelle Devos, Mathieu Amalric. Titolo originale Les Herbes Folles.
Drammatico, durata 104 min. - Francia, Italia 2009. IMDb 6,2
Come spesso accade con i «grandi vecchi»-e Resnais quando presentò Gli amori folli l’anno scorso a Cannes (premio speciale della giuria) stava per compiere ottantasette anni-l’età e i riconoscimenti ottenuti finiscono per trasformarsi in una carica «libertaria» che cancella imposizioni e regole, paure e limiti, dando il là a opere che finiscono col sorprendere per invenzione e libertà. Proprio come succede con questi amori folli, «infedele» titolo italiano di un originale (Les Herbes folles) che spiega meglio l’immagine ricorrente nel film delle erbacce selvatiche che nascono dove meno te lo aspetti, nelle più inaspettate fessure del cemento stradale.
Come spesso accade con i «grandi vecchi»-e Resnais quando presentò Gli amori folli l’anno scorso a Cannes (premio speciale della giuria) stava per compiere ottantasette anni-l’età e i riconoscimenti ottenuti finiscono per trasformarsi in una carica «libertaria» che cancella imposizioni e regole, paure e limiti, dando il là a opere che finiscono col sorprendere per invenzione e libertà. Proprio come succede con questi amori folli, «infedele» titolo italiano di un originale (Les Herbes folles) che spiega meglio l’immagine ricorrente nel film delle erbacce selvatiche che nascono dove meno te lo aspetti, nelle più inaspettate fessure del cemento stradale.
Per Resnais è una poetica ed eloquente metafora
dell’imprevedibilità delle azioni umane, di cui cercherà di dare una
altrettanto poetica e «imprevedibile » dimostrazione con i casi che un bel
giorno fanno incrociare il destino di Marguerite Muir (Sabine Azéma) e Georges
Palet (André Dussollier): lei subisce lo scippo della borsa, lui ritrova il
portafoglio abbandonato dallo scippatore, lei telefona per ringraziare, lui
vorrebbe qualche cosa di più, almeno un incontro...
Ma si ingannerebbe lo spettatore se dopo questo inizio si
aspettasse un qualche tipo di evoluzione verso il melodramma amoroso. Così come
sono destinati a restare sospesi e indeterminati gli indizi che possono far
pensare a una qualche «perversione» di Georges, costretto a fare ameno dei suoi
diritti elettorali e preoccupato che il poliziotto a cui ha riconsegnato il
portafoglio possa averlo riconosciuto. Che cosa si nasconde nel passato di
Georges? Perché passa i suoi giorni a casa senza lavorare? Perché la moglie
(Anne Consigny) sembra non preoccuparsi più di tanto del desiderio del marito
di conoscere la proprietaria dei documenti che ha ritrovato? Perché la
derubata, che scopriremo vivere da sola, fare la dentista e avere la passione,
oltre che il brevetto, per il volo non è infastidita più di tanto delle
attenzioni di Georges? E anzi cerca di instaurare uno strano rapporto con la
moglie dell’uomo?
In un film «normale» sono tutte domande a cui lo spettatore
si aspetterebbe prima o poi di ottenere una risposta, o comunque di trovare
delle tracce che possano indirizzarlo sulla strada della soluzione, ma con
Resnais è fatica vana. Persino il finale è lasciato in sospeso, con lo
sberleffo dell’ultimissima scena, dove una bambina (di cui ignoriamo
l’identità) chiede alla madre se, diventando un gatto, potrà anche lei mangiare
i croccantini.
Per tutta la sua carriera il regista bretone si è fatto un
dovere di confondere le piste e ingarbugliare le tracce. E non certo per il
gusto della sorpresa fine a se stessa. A ripensare ai suoi film, anche quelli
più ostici e difficili, non c’è mai niente di gratuito, di fine a se stesso:
mescolare i piani della memoria e del ricordo, del tempo e dello spazio è
servito a Resnais per togliere allo spettatore le certezze che un cinema fin
troppo codificato aveva instillato.
Difficile identificarsi con uno dei suoi
personaggi, difficile dividere con precisione i sogni dalla realtà, il passato
dal presente: tutto serve per distruggere le sicurezze che il «realismo» del
cinema ha reso lingua universale. Anche il racconto del narratore, che invece
di spiegare moltiplica le domande. No, Resnais non ci ha mai creduto e a
maggior ragione non ci crede in questo ultimo film, dove il gioco delle
sorprese e dei ribaltamenti diventa a un certo momento vorticoso, labirintico,
inestricabile.
Con tutti i rischi che questo «gioco » comporta. Perché se
chiediamo al cinema di farci dimenticare la logica della vita e siamo disposti
a farci guidare verso terreni imprevedibili, allora la sorpresa può
trasformarsi in piacere. Ma se il gusto un po’ surreale e iconoclasta di
«distruggere » la realtà come la conosciamo ci prende la mano (e qui il
sospetto fa capolino più di una volta), se le domande si moltiplicano (quasi)
all’infinito e le risposte non arrivano mai, allora il rischio è quello di
sentirci di fronte a un’intelligenza di cui sfuggono le ragioni. E il piacere
lascia il campo a un sentimento di rispettosa estraneità.
Corriere della Sera - Paolo Mereghetti
30 aprile 2010
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