martedì 4 dicembre 2012

Bab'Aziz di Nacer Khemir,


Un film di Nacer Khemir. Con Parviz Shahinkhou, Maryam Hamid, Nessim Kahloul, Mohamed Grayaa, Golshiteh Farahani Fantastico, durata 96 min. - Francia 2005.
«Se camminate accanto a vostro padre e d’improvviso egli cade sporcandosi il viso di fango, cosa fate? D’istinto prendete anche le vostre stesse vesti e lo pulite. Il mio padre è l’Islam e del fango ne ha sporcato il volto. Con questo film vorrei contribuire a ripulirlo. Ho voluto mostrare una cultura aperta, tollerante e accogliente islamica, piena di amore e di saggezza, un Islam che è diverso da quello dipinto dai media all'indomani dell’11 settembre». “Fondamentalismo, così come radicalismo, è uno specchio deformante dell'Islam".  
Con queste parole, Nacer Khemir, regista tunisino, introduce la proiezione, del suo film Bab’Aziz  nell’ambito di Panafricana 2006.
Bab’Aziz è un anziano derviscio cieco che attraversa il deserto accompagnato dalla sua nipotina Ishtar per recarsi alla riunione dei dervisci. Questa riunione si tiene ogni trent’anni in un luogo sconosciuto a tutti gli invitati. Ma, come dice Bab’Aziz, “colui che ha fede, non si perderà mai; colui che vede con gli occhi del cuore, troverà la via”.
Durante il viaggio, il saggio derviscio racconta alla nipotina la storia di un principe che un giorno, improvvisamente,  rinunciò al potere e agli agi per  seguire  una gazzella attraverso il deserto, lasciandosi alle spalle la sua vita di lusso. Guarda la sua immagine riflessa nell'acqua, ma piuttosto che vedere il riflesso del proprio volto, come il tema familiare di Narciso potrebbe suggerire, il principe, in questa storia, vede la propria anima e cade in una tale contemplazione lungo l'invisibile che lascia alla fine il mondo visibile per quello invisibile. 


Bab’Aziz e Ishtar lungo il cammino incontrano vari personaggi, le cui storie si intrecciano come ne “Le mille e una notte”, avvolte in un alone di mistero, in un’atmosfera quasi magica. E non c'è da stupirci se direttore della fotografia è il celebre fotografo iraniano Mahmoud Kalari.
Il legame di  tutte le vicende è la mistica Sufi: “la religione del cuore”, che cerca un rapporto diretto con il Divino.

“Bab’Aziz” racconta la storia di un viaggio. Ma non si tratta solo di un viaggio attraverso il deserto. È soprattutto un viaggio all’interno dell’anima. Alla ricerca della spiritualità che è dentro ognuno di noi.
Al di là delle credenze religiose, non si può non restare affascinati dai messaggi che il film trasmette, messaggi di speranza e di gioia per la vita; si  rimane incantati dalla suggestiva immagine del deserto, visto come luogo dove approdare a una ricerca interiore, distesa piatta, senza riferimenti, in cui è facile perdere l’orientamento e sempre esposta a trasformazione per le tempeste di vento. Questo film è anche un’eccezionale opera visiva: gli splendidi paesaggi desertici sono filmati con impeccabile maestria fotografica.
“C'è un proverbio tuareg che dice: "Ci sono terre che sono pieni di acqua per il benessere del corpo, e le terre che sono pieni di sabbia per il benessere dell'anima" Il deserto è un campo letterario e un campo di astrazione al tempo stesso. Si tratta di uno dei rari luoghi dove l'infinitamente piccolo, che è un granello di sabbia, e l'infinitamente grande, e che è miliardi di granelli di sabbia, si incontrano. E 'anche un luogo dove si può avere un vero senso dell'Universo e della sua scala. Il deserto evoca anche la lingua araba: in ogni parola araba, c'è un po’' di sabbia che scorre”.
E’ proprio da una tempesta di sabbia che li ha completamente ricoperti che  emergono il vecchio derviscio Bab’Aziz e la sua nipotina Ishtar diretti alla grande riunione dei dervisci, che si terrà dopo 30 anni in un luogo imprecisato.


Nel film si incontrano due diverse generazioni: un’anima giovane che, come Bab’Aziz ricorderà, ha dimenticato, crescendo, tutti i segreti che alla sua nascita conosceva, facendo intervenire fattori esterni che ne hanno turbato il profondo equilibrio iniziale. L’altra anima è quella del sufismo che sa "contemplare la propria anima", incarnata nel film proprio da Bab’Aziz. 
A lui il compito di guidare la nipotina, alla quale a un certo punto, richiamando l’aneddoto di Khemir prima accennato, pulisce il volto coperto di sabbia, in seguito a una caduta. in Bab'Aziz (Parviz Shahinkhou) si incarna il percorso del cuore, un derviscio cieco che conosce intimamente il deserto e le sue austerità molti e bellezze. Egli è un perfetto esempio di adab Sufi, una pratica che incorpora l'umiltà, la cortesia, la gentilezza, una venerazione per il mondo, e un profondo rispetto per gli altri. Egli chiama Ishtar, suo piccolo angelo a cui dice con tenerezza che la fossetta sul mento significa la grazia di Dio che l'ha benedetta.

Come dimenticare la profondità dell’insegnamento di Bab’Aziz alla nipotina, quando questa sconcertata chiede al nonno perché stanno andando nella direzione opposta agli altri dervisci rischiando di perdersi, sentendosi rispondere che tante sono le strade per arrivare alla meta e che sarà il dono più grande che possediamo a indicarci la retta via?
Come non apprezzare il tentativo di dare una visione della morte che si pone idealmente contro ogni immagine negativa e "mercificata" che negli anni il cinema ha sempre più mostrato? La morte è collegata alla nostra nascita, afferma Bab’Aziz, non è un salto nel buio ma dal buio.
Il film è accompagnato dal suono dei flauti, dai kudum (piccoli timpani in cuoio ricoperti da pelle di capra) e dagli halile (piatti in rame) gli strumenti che accompagnano la danza dei dervisci, rituale che prevede un movimento rotatorio dove la mano sinistra è abbassata verso terra mentre la mano destra è alzata verso il cielo, tra la materia e lo spirito. Immancabile, naturalmente, la musica curata dal compositore israeliano Armand Amar: elemento centrale nel sufismo e tramite per arrivare a Dio, attraverso le danze dei dervisci.
Ed ecco allora il ballo come liberazione, veicolo catartico e ponte verso il divino, così come il canto e la musica.
Atmosfere indimenticabili quelle che ci regala questo film. Un modo atipico di denunciare l’ignoranza monumentale che ha identificato Islam e fondamentalismo, con una critica rivolta soprattutto all’interno, ma il cui messaggio è importante arrivi in Occidente. 

"Nessun altra missione sembrava urgente a me come questa: dare un "volto" a centinaia di milioni di musulmani che sono spesso, se non sempre, le prime vittime del terrorismo causato da qualche fondamentalista. E anche se questo film si basa sulla gioia e l'amore che dà la tradizione Sufi, è anche un film molto politico, e volutamente così. E 'un dovere oggi mostrare al mondo un altro aspetto dell'Islam, in caso contrario, ognuno di noi sarà soffocata dalla sua ignoranza dell' "altro".E' la paura che soffoca le persone, non la realtà. (…) Guardare questo film è un modo di offrire ospitalità a 'l'altro'". Il fondamentalismo e il fanatismo non rappresentano l'Islam, così come l'inquisizione non rappresentava la fede di Gesù. Al giorno d'oggi ci si può sentire abbastanza smarriti e confusi di fronte a questa crescente ondata di sfida e di odio verso l'Islam. Il Sufismo si erge contro ogni forma di fanatismo. Il Sufismo è l'Islam dei mistici, è la tenerezza dell'Islam. Ma, al fine di dare una migliore definizione, lasciatemi usare questo detto Sufi: "Ci sono tanti modi di Dio, come il numero di esseri umani sulla terra" Questa frase da sola è una rappresentazione della visione del Sufismo".
                         

1 commento:

  1. Bisogna cominciare a guardarsi dentro,fuori è illusione, il materialismo ci ha confuso la mente,privandoci di un libero pensiero.
    Grazie Bab Aziz. yao.sergio@gmail.com

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