domenica 6 gennaio 2013

L'anno in cui i miei genitori andarono in vacanza di Cao Hamburger

O Ano em Que Meus Pais Saíram de Férias, di Cao Hamburger (2006) Sceneggiatura di Adriana Falcão, Claudio Galperin, Cao Hamburger, Bráulio Mantovani, Anna Muylaert Con Michel Joelsas, Germano Haiut, Paulo Autran, Simone Spoladore, Eduardo Moreira, Caio Blat, Daniela Piepszyk, Liliana Castro, Rodrigo dos Santos Musica: Beto Villares Fotografia: Adriano Goldman (104 minuti) Rating IMDb: 7.8

In Brasile nel 1970 c'era  una dittatura militare iniziata nel marzo del 1964 che duròfino al 1985. Una dittatura che arresta, tortura, uccide. Una dittatura di cui forse si è poco parlato, ma che molti brasiliani non dimenticano. Passando davanti ad una caserma a Rio, una mia amica mi diceva sempre: qui si sentivamo venir fuori le urla di chi veniva torturato.
Una nazione intera, in quello stesso anno, si prepara ai mondiali di calcio che saranno vinti dalla nazionale brasiliana. L’entusiasmo unisce tutti. Impossibile, d’altro canto, non perdere la voce dietro alle prodezze di Pelé, Carlos Alberto, Tostão, Gérson e Rivelino: la più grande nazionale che il paese avesse mai avuto che, proprio nell’estate di quell’anno, si apprestava a vincere la sua terza coppa del mondo.
Mauro è un ragazzino figlio di attivisti di sinistra, passa gran parte del suo tempo a curare la sua collezione di figurine e giocare con accendini, bottoni e monetine, simulando sul tavolo le gesta di Pelè e Tostao. Il suo sogno è vedere il Brasile alzare per la terza volta la Coppa del Mondo.

E’ in questa cornice che Cao Hamburger ci regala una delle più belle pellicole di Berlino 2007: “E’ un film sull’esilio – sui vari tipi di esilio – sulla scoperta della transitorietà della vita da parte del protagonista, che impara a conoscere gli altri e a sopravvivere in un mondo nuovo”.
Mauro, infatti, si troverà solo. I suoi genitori partono per “una vacanza” e lo portano a vivere col nonno. Da Belo Horizonte vanno a San Paolo, quartiere Bom Retiro abitato in prevalenza da una comunità ebraica (il padre di Mauro è ebreo, la madre no) di quasi solo anziani che parlano yiddish: molti dei suoi membri sono sfuggiti all'Olocausto.
Lì lo ospiterà il nonno in attesa del loro ritorno, lo rassicurano i genitori. Lui è perplesso, non capisce cosa sta succedendo ma i suoi hanno una gran fretta e il padre gli promette di rientrare per la prima partita dei mondiali.
Lo lasceranno sotto la casa del nonno, ma, quando Mauro suonerà alla porta, non troverà nessuno a rispondergli. Si siede per terra ed aspetta fino a quando non arriverà il vicino Shlomo di casa che gli comunica una brutta notizia: il nonno nel frattempo è morto di infarto nel suo negozio di barbiere.
Shlomo lo ospiterà casa sua, ma il rapporto non è per niente facile, tanto che l’uomo si rivolgerà al rabbino per avere aiuto, ma la risposta sarà lapidaria: “se Dio lo ha lasciato davanti alla tua porta deve sapere quel che fa». E forse viene da pensare, lo sapeva davvero.
Sarà difficile per Muro accettare la situazione, solo una bambina, Hana, lo aiuterà ad aprirsi grazie alla sua amicizia.
La piccola Hana lo aiuterà ad uscire, gli fa conoscere dei coetanei, e insieme, ebrei, italiani, greci si uniscono per tifare per i verde-oro che marciano verso il trionfo finale, contro l'Italia, sconfitta 4 a 1. La sua sarà un'estate di scoperte, di momenti anche felici, di nuove conoscenze, di amicizie vere.
Tutta la comunità ebraica accoglie Mauro senza indottrinarlo o costringerlo a sposare la propria fede, limitandosi a cambiare il suo nome in Moishele, ovvero colui che è stato salvato dalle acque del Nilo galleggiando in un cesto di canne.

Sono proprio loro che lo salveranno, prima di tutto Shlomo che si affezionerà a lui e saprà essergli vicino, poi Irene, una bella ragazza, che gestisce il bar e tutte le famiglie che faranno a gara per farlo pranzare con loro.
Ma è l’attesa che caratterizzerà molte sue giornate, un’attesa che si dilata nel tempo, che ogni tanto lo induce a chiudersi in se stesso. Non parla, non racconta il suo dolore, ma aspetta: ogni momento per lui potrebbe essere quello giusto.
Un giorno vede un “maggiolino” uguale a quello dei suoi genitori i suoi genitori e pensa che stiano tornando. Abbandona i compagni con cui stava giocando a pallone, la sua passione e lo rincorre disperato: la delusione sarà grande quando capirà che non sono loro.

Al di là delle esplosioni di felicità ed euforia per un gol segnato dalla nazionale di calcio, il dolore del ragazzo, e la tensione del paese sono tangibili dall'inizio alla fine del film, eppure il regista non rinuncia ad alleggerire il tono del suo racconto, conscio che alla vita ci si adatta qualunque essa sia, e sottolinea come i bambini siano capaci di afferrare ciò che il giorno gli offre.

La repressione o la violenza, latente o evidente, non entrano in campo nel film se non in un momento della storia in cui il bambino assiste ad una retata: molti studenti saranno brutalmente portati via.
Sarà quello il momento in cui prenderà maggiore coscienza di dove sono finiti i suoi genitori ed aiuterà un amico di suo padre a nascondersi prima che anche lui debba “andare in vacanza”. A lui farà le prime domande su dove sono finiti i suoi genitori e se ritorneranno.
Il film sa mescolare la politica e la vita privata: la vita, nonostante tutto continua, ma sullo sfondo quel clima politico pesante segna la vita di tutti e in questo caso colpisce Mauro che non si rassegna, reagisce al dolore, ma ne è allo stesso tempo attraversato. Solo una comunità solidale riesce ad attenuarne le ferite e a dare a quel bambino la forza di crescere e di maturare.
E’ questo che mi ha commosso e fatto più pensare. E’ questo che oggi a noi manca: la capacità di stringerci intorno a chi ha bisogno ed è indifeso.
Ogni personaggio è perfetto. I giovani attori sono bravissimi, In particolar modo il piccolo protagonista (Michel Joelsas) e la amica Ana (Daniela Piepszyk), un’attrice nata, spontanea, divertente, vera.
Michel Joelsas  ed è nato a Sao Paulo nel 1995, dove ha studiato presso la scuola ebraica. Prima di entrare a far parte del cast di L'Anno in cui i miei genitori andarono in vacanza, non aveva mai fatto l'attore. E, con grande sorpresa della troupe, ha dichiarato di non pensarci affatto. Dopo il lungo periodo di preparazione e l'immersione nel set del film, Michel ha scoperto che voleva diventare direttore della fotografia. "Mi piaceva rovistare tra le cose di Adriano (Goldman, il direttore della fotografia), e ho ricevuto vari regali, come obiettivi e addirittura una telecamera. È questo quello che voglio fare quando cresco", afferma Michel, che proprio come il suo personaggio, è figlio di madre non ebrea (cattolica convertita) e padre ebreo. "Mio padre è un ebreo ortodosso, ed io, al contrario di Mauro, ho studiato in una scuola ebraica e conosco tutte le tradizioni. Questo mi ha aiutato molto a capire quello che il mio personaggio stava vivendo", racconta Michel.
Daniela Piepszyk è nata anche lei nel 1995 a São Paulo. Non aveva mai pensato di fare l’attrice. “Ero a scuola quando l’insegnante parlò dei provini. Non pensavo di essere presa, ma ho deciso di provarci lo stesso”, dice la ragazzina. “Hanna è molto intelligente. Io penso di essere abbastanza sveglia, ma non intelligente come lei. Sono molto più ingenua. Hanna alle volte può diventare molto cattiva con i ragazzi. Ma nel profondo del suo cuore le piacciono”, scherza Daniela, che proviene da una famiglia ebrea. 


Daniela non aveva le caratteristiche fisiche del personaggio come descritto nella sceneggiatura dice il regista: “Il ruolo di Hanna doveva essere interpretato da qualcuno più grande e più alto di Mauro. Avevo pensato a qualcuno di completamente diverso. Ma quando ho incontrato Daniela, ho dovuto adattare il personaggio, o l’immagine del personaggio che avevo in mente. E alla fine non è stato così difficile. L’armonia tra lei e Michel era incredibile. Formano una coppia incredibile. La scelta era perfetta. In realtà non è stata neanche una scelta. Daniela e Michel si sono imposti come Hanna e Mauro”.

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