Un film di Steve McQueen. Con Chiwetel Ejiofor, Michael Fassbender,
Benedict Cumberbatch, Paul Dano, Paul Giamatti. Titolo originale 12 Years a
Slave. Biografico, durata 134 min. - USA 2013.
Solomon Northup (Chiwetel Ejiofor) è un musicista nero e un uomo libero. Vive nello
Stato di New York come i bianchi, se non per l’impossibilità di votare, ha una
moglie e due figlie e un cane, conduce una vita serena. Solomon è un uomo colto,
educato e sa leggere, scrivere.
Non è ricco, ma conduce comunque una vita serena. Il suo
unico vero e grave difetto è quello di avere la pelle nera.
Siamo nel 1841 e l’importazione di schiavi dall’Africa è
proibita. Dal Sud, però, hanno bisogno di manodopera per i campi di cotone e di
canna da zucchero e lo schiavismo lì non è finito.
Un giorno due malfattori promettono a Solomon un lavoro come
musicista, lo fanno ubriacare e il mattino dopo si risveglia in una cella, i
polsi e le caviglie legate al pavimento con lunghe catene e viene imbarcato con
altri disperati per New Orleans dove sarà messo in vendita.
Nessuno gli darà spiegazioni e presto capirà che è meglio
tacere: le uniche risposte alle sue domande sono le frustrate che gli lacerano la schiena a sangue. E sul
suo corpo, come su quello di chi condivide la sua sorte, per tutti e 12 gli
anni infieriranno i suoi padroni e i loro dipendenti senza pietà. Tutto il suo
mondo sparisce, non esiste più, lui diventa “un altro”, senza diritti, completamente
in balia di chi lo ha comprato. Anche del suo nome Solomon viene derubato,
diventando Platt, un "nigger" senza dignità né storia personale.
Il maggior pericolo per Solomon sarà che egli stesso si identifichi
con quel Platt che i padroni vogliono che sia. Il suo coraggio sarà lottare con
tutte le sue forze per rimanere se stesso nel profondo della sua anima, dovendo
però fingendo d'essere quello che gli altri vogliono che sia.
Quello che così sembra volere sottolineare il regista, già
nei primi minuti, è che la schiavitù è orrenda e sbagliata, ma lo è ancora di
più perché chi nel film ne rimane vittima è una persona “per bene”, onesta e legalmente
libero.
Si troverà in mezzo agli altri che schiavi lo sono da
sempre, ma Solomon dovrà anche imparare a non commuoversi troppo, a non lasciarsi
troppo coinvolgere dalla sofferenza degli altri, per resistere, per
sopravvivere.
Come tutti gli altri si sfiancherà nel raccogliere il cotone nei campi assolati della Louisiana sotto gli occhi implacabili dei loro aguzzini.
All’inizio tenta di ribellarsi, poi di ingraziarsi il padrone,
ma a poco serviranno questi sforzi. Otterrà la stima del suo padrone progettando
un sistema di trasporto delle merci che fa risparmiare tempo e denaro al
padrone, il quale lo premia con un violino.
Ma se non sarà il padrone ad accanirsi contro di lui, lo
saranno i suoi dipendenti che scaricano su di lui e sugli altri la propria
aggressività e le proprie frustrazioni.
Gli iniziali propositi di ribellione si spengono e alla
schiava venduta insieme a lui, che piange per essere stata separata dai suoi
bambini, Solomon spiega che non vuole ribellarsi, ma sopravvivere, perché vuole
rivedere la sua famiglia, e che siccome lui è illegalmente tenuto schiavo,
prima o poi troverà giustizia.
Il primo padrone di Solomon (Benedict Cumberbatch) ha quella
gentilezza paternalistica di chi però i lavoratori li compra come merce, li
affitta, li usa per pagare i debiti e li rivende.
Il secondo padrone è il sadico Michael Fassbender, l'attore preferito
di McQueen, che prega e legge la Bibbia ai suoi schiavi, ma poi usa la frusta coprendo
di piaghe le loro schiene.
Sua vittima particolare è Patesy (Lupita Nyong'o), da cui è
fortemente attratto sessualmente suscitando le gelosie della moglie che sa
essere più crudele di lui.
Ma è anche così che si usano le schiave e qualcuna di loro
riesce anche ad uscire dalle crudeltà quotidiane perché gode dei favori del
padrone.
Solomon dovrà assistere impotente alle crudeltà che vengono
inflitte a Lupita, che lo implorerà di ammazzarla per dar fine alle sue
sofferenze, pur capendo che mai il suo amico potrà soddisfare questo suo
desiderio.
Ed è proprio Lupita
Nyong'o che nel film attrae la nostra attenzione, bravissima esordiente. La sua Patsey è una creatura
di rara grazia e fascino, e sono proprio queste le doti che la rendono preda del
suo padrone da cui la ragazza non ha la minima possibilità di difendersi. Per
lei non c’è salvezza né riposo. Impiegata come gli altri impiegate nella
raccolta di centinaia di chili di cotone al giorno, è poi al servizio della perversione di uno
psicopatico.
Eppure la vediamo ancora deliziarsi nel creare piccoli manufatti
con quelle dita magiche, e gridare la sua dignità in faccia ad Epps.
Il film è spietato, ha scene di violenza fisica e
psicologica quasi insopportabili, ma credo ancora lontane dalla realtà.
Una scena interminabile è quella in cui Solomon, mani e
piedi legati, appeso a un albero con una robusta corda al collo cerca con le
punte dei piedi che sfiorano il terreno fangoso, evitare l’impiccagione sotto
il sole implacabile della Louisiana, sullo sfondo, indifferenti, i suoi
compagni di schiavitù, che a quel tipo di scena sono abituati, e nessuna pietà
può spingerli a rischiare a loro volta quell'orribile sofferenza. Quell'uomo
lotta in disperata solitudine per non morire, non si rassegna.
Solomon cercherà di fuggire, scriverà con tutti i mezzi di
scrivere una lettera agli amici perché lo vengano a salvare, ma sarà di nuovo
tradito, e perderà spesso la speranza. Vede intorno a sé uomini rassegnati ad
un destino da cui non possono mai sottrarsi e che condividono con i propri
padri e le proprie madri. E sa che se, anche se lui riuscirà a salvarsi, non
potrà salvare gli altri.
E quel momento verrà il dodicesimo anno di schiavitù con l’incontro
con l’abolizionista Samuel Bass (Brad Pitt) che vince la paura, rischia lo
scontro con l'ordine dominante, e pone fine all'ingiustizia. Solomon torna
dunque a casa dai suoi. Come però avvertono i titoli di coda, non riuscirà a
far condannare i rapitori. In tribunale non gli sarà consentito di prestare la
sua testimonianza. È un uomo libero, ma come lo può essere un
"nigger".
Tornerà a casa, ma con la morte nel cuore: Solomon ha visto
l'orrore e ne è uscito, ma è consapevole che l'orrore è ancora dietro di lui. La
schiavitù annienti oltre alle vite umane, anche lo spirito umano
“12 Anni Schiavo” è un buon film, ma non mi ha soddisfatto
pienamente. Manca qualcosa, o c’è qualcosa di troppo.
Il regista ha dichiarato anche che solo un uomo di colore può
raccontare con realismo lo schiavismo vissuto dai neri sulla propria pelle. A
mio avviso non è così, basti pensare a due film di Spielberg, come “Il Colore
Viola” del 1985 e soprattutto “Amistad” del 1995.
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