lunedì 24 febbraio 2014

E adesso arriva Polly di John Hamburg

Un film di John Hamburg. Con Ben Stiller, Jennifer Aniston, Philip Seymour Hoffman, Debra Messing, Hank Azaria. Titolo originale Along came Polly. Commedia, Ratings: durata 90 min. - USA 2004.
Ruben (Ben Stiller) è un metodico, uno che affronta la vita come fa nel suo lavoro di assicuratore, con estrema cautela e programmi a lungo termine. 
Sposa Ruben di cui si dichiara follemente innamorato, ma in luna di miele viene subito tradito dalla moglie che fugge con un bell’imbusto. Ma il destino vuole che Ruben incontri la solare e deliziosa Polly (Jennifer Aniston), un’amica d’infanzia, una ragazza dolce e un confusionario modo di affrontare la vita.
 
Con lei comincerà una storia e lo spunto comico di questo film sarà proprio offerto dalla assoluta diversità di caratteri del protagonista e della sua amica: lui abituato a valutare i rischi dei possibili assicurati e per questo calcolato in ogni azione della giornata, lei imprevedibile e insicura: abita in una casa molto disordinata e precaria, gira con un furetto orbo, ha un lavoro umile nonostante i successi scolastici ed è appassionata di balli latino americani. Lui tutto programma tutto a lungo termine, lei vive, invece, prende la vita come le viene e difficilmente sa che cosa farà domani.
Buona parte del divertimento del film consiste, anche, nel vedere a quali tragicomici sacrifici Ruben si sottoporrà per conquistare la sua amata e per star dietro ad un cliente piuttosto scapestrato.

Frequenterà ristorante esotici, col risultato di problemi gastrointestinali perché allergico a quella cucina.
Andrà a scuola di salsa per poter ballare con la sua ragazza e si esibirà in un assolo non proprio da primo ballerino.
Impaurito da ogni germe prima impedirà a Polli di mangiare le noccioline:
Che cosa fai?!Sto, sto per…per mangiare delle noccioline.No, non si mangiano le noccioline nei bar, tutti lo sanno!
Ma di che stai parlando?D’accordo, diciamo che mediamente, non so, diciassette persone le mangiano in una data sera, va bene? Se sono qui da due settimane stiamo parlando di circa duecentotrentotto persone che hanno messo le mani lerce lì dentro.Lerce? Perché…perché hanno le mani lerce?È dimostrato che solo una persona su sei si lava le mani quando va in bagno…
Oh!Già. Quando credi di mangiare degli innocenti salatini, in realtà ingerisci dei batteri potenzialmente micidiali da circa trentanove zozze mani di estranei. Perché mi sono beccato l’escherichia coli, uno si domanda, o la salmonellosi o l'epatite? Deve solo guardare nella ciotola dei salatini del suo bar!
Ma, quando lei minaccia di andarsene, sarà lui a mangiarne alcune finite addirittura per terra e sarà lei a trattenerlo perché non lo faccia!
Bravi gli attori: la Ariston dopo la (bella) parentesi seria di A good girl, torna al suo genere preferito con quel tocco di semplicità, naturalezza e simpatia con cui ha ottenuto il successo planetario con. Non particolarmente bella né appariscente, l’attrice è perfetta come spalla di Stiller e sfrutta appieno la sua innata vis comica.
Nel film, non sfruttato appieno purtroppo, comparirà  grandissimo Philip Seymour Hoffman nella parte dell’amico fraterno e consigliere di Stiller: una bella sorpresa per chi l’ha visto complesso e tormentato nei film di Anderson o Lee.
L'amico sarà sempre alla ricerca del successo perduto, rendendosi spesso ridicolo, ma sarà proprio il padre di Ruben a fargli capire quanto si stia rendendo ridicolo: 
È sempre la stessa storia con te, eh amico? Hai fatto un solo film, 100 anni fa! Da allora hai pensato di essere migliore di chiunque altro. Perché non ti rilassi e vai avanti nella vita; non importa quello che è avvenuto in passato o quello che credi potrebbe avvenire in futuro, importa il tragitto santo Iddio! Non c'è motivo di affrontare tutte le me**ate, se non ti godi il tragitto. Sai che ti dico? Quando meno te lo aspetti, potrebbe capitare qualcosa di bello, più importante di quello che avevi programmato.

Eri divertente da morire con quella corna musa però, te l'avevo mai detto?
Io credo di non averla mai sentita parlare, signor Feffer.
È un dato di fatto: le trovate comiche sono principalmente legate a vergognosi episodi gastro intestinali e a scene altrettanto imbarazzanti, che strappano una facile risata ma di certo non entusiasmano.

E’ comunque una commedia leggera fatta su misura per la verve comica di Ben Stiller e di Jennifer Aniston che per quanto sia divertente, di facile visione ed interpretata in maniera simpatica, è  però abbastanza banale e a tratti un po’ noiosa e scontata. 

City Island di Raymond De Felitta

Un film di Raymond De Felitta. Con Andy Garcia, Julianna Margulies, Steven Strait, Emily Mortimer, Ezra Miller. Commedia, durata 100 min. - USA 2009. IMDb 7,4
Vince Rizzo è una guardia carceraria che nutre il segreto desiderio di recitare. Segreto che non ha rivelato neppure a sua moglie Joyce la quale sospetta che quando lui dice di andare a giocare a poker (mentre va a un corso di recitazione) in realtà incontri un'amante. 
In famiglia anche gli altri membri custodiscono segreti: il figlio adolescente Vince Jr. ha una passione per le donne obese mentre la figlia, che è via da casa per studiare grazie a una borsa di studio, fa lo strip tease.
Le cose si complicano quando Vince fa uscire dal carcere sotto la sua tutela un ragazzo che ha scoperto essere suo figlio.
La madre Gloria, Julianna Margulies, si prende una cotta per Tony, il galeotto che il marito ha portato a casa per sistemare il giardino (e fuma in veranda di nascosto...). 
Nel momento in cui Vincent rivela alla famiglia, grazie all'aiuto della sua compagna di recitazione, il suo segreto più segreto, con il quale ha potuto fare i conti solo dopo aver accolto a casa il giovane Tony, tutti hanno la possibilità di confessarsi e di ricominciare da capo.
Il film è divertente anche perché le interpretazioni sono allo stesso tempo leggere e incalzanti come lo sono i dialoghi delle infinite discussioni famigliari. Da notare nel cast i ruoli cameo di due bravi attori caratteristi, Emily Mortimer (Match Point) e Alan Arkin (Little Miss Sunshine).
Le piccole frustrazioni, il non detto che spesso rovina la relazione di una coppia che ha ancora elementi di intesa e affetto, la possibilità di un'amicizia vera e profonda tra un uomo e una donna, questi ed altri sono i temi che vengono affrontati con la giusta dose di leggerezza e di malinconia per le occasioni che quotidianamente si perdono per paura di essere feriti nell'intimo. 
Godibile anche la scena in cui Andy Garcia, aspirante attore, va a un'audizione per un film di Scorsese con De Niro protagonista allora si può star certi che è garantita anche una giusta dose di divertimento. City Island, senza essere un capolavoro, può valere una visita. 
Naturalmente non manca il lieto fine, il che non guasta qualche volta per poterci rilassare un po'.

L'elefante bianco di Pablo Trapero

Un film di Pablo Trapero. Con Ricardo Darín, Jérémie Renier, Martina Gusman Drammatico, durata 110 min. - Argentina, Spagna 2012. 
Il film è girato la prima parte, nella foresta amazzonica del Perù e la seconda nella “Ciudad Oculta” di Buenos Aires.
Il film è girato la prima parte, nella foresta amazzonica del Perù e la seconda nella “Ciudad Oculta” di Buenos Aires. La storia vede in azione due amici preti, Julian (Ricardo Darin, tra i più famosi attori argentini) e Nicolàs (Jérémie Renier, attore preferito dei fratelli Dardenne) che è appena uscito da un’altra missione umanitaria dove è rimasto vittima di un’imboscata e si è salvato per miracolo
I due sacerdoti si ritrovano a combattere per una causa comune: trasformare un vecchio enorme ospedale (l’elefante bianco) mai completato in un luogo che possa finalmente accogliere tutti coloro che per il momento risiedono clandestinamente.
Nello stesso tempo i due preti sono impegnati umanamente in questa realtà tra le più degradate e socialmente difficile della città: il controllo della zona in questione, infatti, è conteso da due diversi gruppi di narcotrafficanti. 
I due sacerdoti cercano di esercitare la loro l'influenza verso i tanti giovani, che ogni giorno vengono arruolati da queste gang, ma il compito è molto difficile e pericoloso. Ad aiutare i due è Luciana (Martina Gusman, già attrice nei precedenti di Trapero, Nacido y CriadoLeonera e Carancho), giovane assistente sociale, della quale Nicolàs s’innamora.
A rendere tutto più difficile sono una grave malattia di Julian e la politica cieca e corrotta.
Julian e Nicolas sono molto ben inseriti nella popolazione locale, assolvono al loro compito spirituale facendo sia da motore che da intermediari (tra sindaco e vescovi) per assicurare il "cash flow" necessario al progetto (i cui lavori sono in corso). Sono infermieri, insegnanti e cercano di mettere pace tra le gang di spacciatori che si contendono il territorio.
In un contesto così difficile e faticoso i due preti devono affrontare anche una crisi di vocazione, Julian è indebolito dalla sua malattia (tenuta segreta), l'altro si innamora, ricambiato, di Luciana.
Come spesso capita in realtà di questo genere, i due preti si dovranno chiedere fino a che punto possono essere coinvolti nell'azione sociale? Fino a che punto possono affiancare nelle loro lotte la popolazione in un ambiente fatto di fucilate, bambini che fumano il "paco", poliziotti infiltrati e interventi dei reparti anti-sommossa?
Ispirandosi alla storia e al messaggio di Padre Carlos Mujica, un sacerdote ucciso in oscure circostanze negli anni '70 e citato in modo diretto anche dai personaggi del film, il regista e sceneggiatore parla ancora una volta della sua Argentina e della crisi, soprattutto sociale, che ha attraversato e sta ancora attraversando; ma anche della guerra, senza fine e senza possibilità di vittoria, che molti uomini e donne come i sacerdoti, i servizi sociali o i tanti volontari combattono ogni giorno contro le ingiustizie e la malavita nelle zone più disagiate del paese.
Regista tra i più importanti dell'attuale panorama sudamericano, Pablo Trapero non ama ripetersi, e pur mantenendo una buona prolificità continua a passare da un genere all'altro con estrema naturalezza. Dalla precedente opera, il thriller Carancho, Trapero porta con sé l'ottimo protagonista Ricardo Darin, vera e propria star del cinema argentino, a cui affianca ancora una volta la bella Martina Guzman (moglie e musa del regista), ma introduce questa volta un nuovo attore, il belga Jeremie Renier, a cui affida l'importante ruolo di un sacerdote più giovane la cui fede è in crisi dopo aver assistito impotente al massacro di innocenti nella giungla sudamericana.
Nel film non mancano alcune sequenze che lasciano davvero senza fiato, lunghi e complessi piani sequenza che contribuiscono a coinvolgere lo spettatore. Più debole la storia che non sa approfondire come meriterebbero i suoi personaggi.  

Pablo Trapero resta sempre tra i registi argentini più attesi ai festival, vincitore nel 1999 con Mundo Grua, del premio della critica a Venezia, ha saputo spaziare nei vari generi cinematografici, contando sulle sue forze, attraverso la casa di produzione Matanza Film, da egli stesso fondata.  

lunedì 17 febbraio 2014

Hanna Arendt, un film della Von Trotta

Un film di Margarethe von Trotta. Con Barbara Sukowa, Axel Milberg, Janet McTeer, Julia Jentsch, Ulrich Noethen. Drammatico, durata 113 min. - Germania, Lussemburgo, Francia 2012. 

In occasione dell’ultimo “Giorno della Memoria” è stato distribuito nelle sale italiane il film di Margarethe Von Trotta Hannah Arendt. L’uscita del film era prevista per ottobre dello scorso anno. Gli esercenti hanno deciso, in seguito, di togliere il film dalla programmazione arrivando ad una soluzione di compromesso: Hannah Arendt esce come “evento speciale” e solo per due giorni, il 27 e 28 gennaio 2014.
Non si sa se dietro questa decisione ci siano state solo valutazioni di tipo commerciale, o se ci sia stato dell’altro. Nonostante gli ostacoli, quasi ogni singola proiezione ha registrato il tutto esaurito. Senza star di richiamo, senza pubblicità, senza promesse di sorrisi e/o commozione a buon mercato.
E’ molto difficile fare un film parlando di una filosofa. Per questo sono andata a vedere Hanna Arendt della Von Trotta con un po’ di diffidenza. E’ difficile perché quasi impossibile raffigurare la complessità del pensiero. Si rischia molto.
Margarethe von Trotta narra la vicenda, umana, politica e intellettuale di una pensatrice di grande spessore che ha lavorato una vita per comprendere e interpretare i totalitarismi del Novecento: il nazismo e il comunismo.
Il film, in particolare, si sofferma su un periodo fondamentale della vita di Hannah Arendt: quello tra il 1960 e il 1964. L’intellettuale, ebrea emigrata dalla Germania negli Stati Uniti nel 1940, vive a New York con il marito, il poeta e filosofo tedesco Heinrich Blücher. In quegli anni ha già pubblicato testi di teoria filosofica e politica, tra cui l’importante “Origini del totalitarismo”,  insegna in una prestigiosa Università dove è molto seguita dai suoi studenti.  
Ha un buon numero di amici e un’amica, Mary McCarthy, che sarà sempre al suo fianco.
Nel 1961, quando il Servizio Segreto israeliano rapisce il criminale di guerra nazista Adolf Eichmann, nascosto sotto falsa identità a Buenos Aires, la Arendt chiede di seguire il processo che si tiene a Gerusalemme. Il marito cerca di farla desistere, ma la filosofa è determinata “Assistere a questo processo è un obbligo che ho verso il mio passato”. La donna ottiene di essere inviata come reporter della prestigiosa rivista 'New Yorker'.
Adolf Eichmann, ex colonnello delle SS, aveva collaborato alla conferenza di Wansee il cui scopo era, citando Hannah Arendt “coordinare tutti gli sforzi diretti a realizzare la soluzione finale” attraverso la discussione delle misure giuridiche, cioè cosa fare dei “pezzi” ebrei? e come ucciderli così tanti e in fretta?. E a Wansee si deciderà che la “soluzione finale sarebbe iniziata dal Governatorato generale, dove non esistevano problemi di trasporto”, per poi spostarsi verso est dove sarebbero stati necessari i convogli ferroviari: logistica, efficienza, risparmio, queste erano le parole d’ordine. Di questo si sarebbe dovuto occupare Eichmann. Delle sua responsabilità al genocidio si sarebbe dovuto parlare al processo in Israele.
La Germania occidentale era intanto diventata un saldo alleato degli Stati Uniti in funzione antisovietica, quindi sia Israele che Germania erano schierate, sullo scacchiere internazionale, dalla stessa parte. Ma Israele doveva ancora regolare i conti con i criminali nazisti, responsabili dello sterminio degli ebrei, molti dei quali già processati a Norimberga dagli stati vincitori, poi dai tribunali dei singoli stati con tempi e modalità diversi. Israele, essendo  nata come nazione dopo la fine del conflitto bellico, non aveva potuto fare i suoi processi pur essendo direttamente in causa. Il processo ad Eichmann era diventato la sua occasione: il criminale sarebbe stato giudicato per la prima volta davanti a un tribunale composto interamente da ebrei.
Per questo il processo doveva essere trasmesso in Tv e doveva avere una grande risonanza nazionale ed internazionale: tutti dovevano sapere di cosa era stato capace il nazismo con i suoi burocrati. E tutti dovevano sapere che Israele era finalmente uno stato sovrano in grado di difendere le proprie vittime.
Ed è la corte, più che l’imputato, la vera protagonista del processo.
Con me”, dice Hausner nell’arringa iniziale, “ci sono 6 milioni di perseguitati”, mai, nessuno, prima, ha pronunciato queste parole in una corte di giustizia, neanche a Norimberga dove la legge ha parlato per conto dei vincitori. Ora lo fa per conto delle vittime”.
 
Hanna ascolta con attenzione la difesa che Eichman fa di se stesso. Ascoltandolo non riesce a vedere in lui nient’altro che un mediocre burocrate, uno che, per difendersi dalle atrocità commesse, non sa dire altro che: “ho obbedito perché la legge dello Stato è la legge che devo seguire” citando anche Kant. Non si trovava quindi di fronte ad un mostro, come si voleva pensare, ma di fronte ad un uomo comune che fa “semplicemente” quello che gli viene detto di fare, anche se questo vuol dire far morire tra le più atroci sofferenze migliaia e migliaia di persone.
 L’uomo rinchiuso nella gabbia di vetro costruita appositamente per proteggerlo, appare alla filosofa come: “un uomo di mezza età, di statura media, magro, con un’incipiente calvizie, dentatura irregolare e occhi miopi, il quale per tutta la durata del processo se ne starà con lo scarno collo incurvato sul banco (neppure una volta si volgerà a guardare il pubblico) e disperatamente cercherà riuscendovi sempre di non perdere l’autocontrollo, malgrado il tic nervoso che gli muove le labbra e che certo lo affligge da molto tempo. Qui si devono giudicare le sue azioni, non le sofferenze degli ebrei, non il popolo tedesco o l’umanità, e neppure l’antisemitismo e il razzismo
Hanna Arend ascolta, poi, le testimonianze di sopravvissuti ebrei che mettono in evidenza la condiscendenza dei leader delle comunità ebraiche in Europa, di fronte ai nazisti e ne rimane molto scossa. 
Il 19 febbraio Hannah Arendt riparte per l’Europa con il materiale per il suo reportage. Al suo ritorno, l’intero l’appartamento è pieno di “posta inattesa e inviata dopo la nostra partenza”. Si mette al lavoro. Il reportage di H. A. scatena un grande  scandalo specialmente nel mondo ebreo.
Che un semplice report potesse dare vita a una disputa di quelle dimensioni risulta, nell'immediato, incomprensibile per Arendt. 
L'ebreo Kurt Blumefeld, uno dei suoi più cari amici, si allontanerà da lei, e lo scandalo si diffonderà in Israele e negli USA. La studiosa rischierà di perdere il posto all’Università dove però troverà l’appoggio incondizionato dei suoi studenti.
La polemica la lascerà sola con l'unico appoggio del marito e della sua cara amica.
Una polemica non ancora del tutto sedata se si pensa che Claude Lanzmann, autore del film Shoah, ritiene La banalità del male “Una delle più colossali idiozie mai concepite”, dichiarazione fatta proprio nei giorni dell’uscita del suo film e di quello della Von Trotta .
Gli articoli della Arendt saranno poi raccolti in un libro di grande successo Eichmann in Jerusalem. A Report on the banality of the Evil, tradotto in Italia con una fortunata inversione di titolo La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme (Feltrinelli 1964) da cui emerge chiara la sua convinzione: la mancata riflessione sulla responsabilità delle proprie azioni criminali farebbero sì che esseri spesso banali si trasformino in autentici agenti del male. Un altro dei temi scottanti del suo libro oggetti della controversia, è la collaborazione dei leader sionisti dei paesi occupati e la passività degli ebrei di fronte alla deportazione.
 
Di questo parla l’Hannah Arendt di Von Trotta: del processo delle polemiche, della reazione di Arendt, di Mary McCarthy, di Hans Jonas. Vuole parlare di una studiosa libera da ogni vincolo, che parla di quello che vede e rivendica il diritto di interrogarsi su ciò che registra. Non difende né popoli, né patrie. “Io non amo nessun popolo”, dice Arendt nel film, “amo gli uomini, nella loro individualità”. Le idee, nella loro individualità.
Un film diverso da quelli che siamo abituati a vedere, un film per ragionare sul nazismo e sulla Shoa, in modo meno rituale e diverso da altri film su questo argomento. La Arendt ci sollecita a pensare al male in un modo molto poco usuale e dice:
"La mia opinione è che il male non è mai 'radicale', ma soltanto estremo, e che non possegga né la profondità né una dimensione demoniaca. Esso può invadere e devastare tutto il mondo perché cresce in superficie come un fungo. Esso sfida come ho detto, il pensiero, perché il pensiero cerca di raggiungere la profondità, andare a radici, ed nel momento in cui cerca il male, è frustrato perché non trova nulla. Questa è la sua "banalità"... solo il bene ha profondità e può essere integrale."

domenica 16 febbraio 2014

Almanya - La mia famiglia va in Germania di Yasemin Samderel

Un film di Yasemin Samdereli. Con Vedat Erincin, Fahri Ogün Yardim, Lilay Huser, Demet Gül, Denis Moschitto. Titolo originale Almanya - Willkommen in Deutschland. Commedia, durata 101 min. - Germania 2011, IMDb 7,3

Il film Almanya - La mia famiglia va in Germania di Yasemin Samderel racconta la storia di una fami­glia più tur­ca che te­de­sca. Negli anni ’60 il gio­va­ne Hu­sey­in partì dal­l’A­na­to­lia per rag­giun­ge­re la Germania dove grandi erano le promesse di guadagnare e assicurarsi una vita migliore. Era la Ger­ma­nia del boom eco­no­mi­co, in co­stan­te ri­cer­ca di forza la­vo­ro per so­ste­ne­re la cre­sci­tache aveva stipulato ac­cor­di in­ter­na­zio­na­li per age­vo­la­re un'im­mi­gra­zio­ne con­trol­la­ta. In Gemania arrivarono più di quat­tro mi­lio­ni di per­so­ne tra ita­lia­ni, spa­gno­li, greci e turchi.
Hu­sey­in lascia così moglie e figli e si avventura in quella terra che non conosce, ma in cui vuole portare tutta la famiglia appena sistemato.
Una commedia familiare on the road, divertente e nello stesso tempo malinconica. Il film ha avuto un gran successo al festival di Berlino e ha riempito le sale della Germania.  Almanya (il titolo del film è il modo con cui i turchi chiamano la Germania) è il primo film di due sorelle nate a Dortmund da famiglia turca negli anni Settanta. 
Quello di Yasemin e Nesrin Samdereli è un modo sorridente e accattivante di raccontare una vicenda importante nella storia delle grandi migrazioni europee del dopoguerra, quella molto numerosa dei turchi in Germania soprattutto negli anni Sessanta, che come tutte ha conosciuto  molti risvolti difficili e dolorosi. Appartiene a un filone che in anni recenti ha incontrato molta fortuna e va ad aggiungersi a esempi come East is East, sull'immigrazione pakistana in Inghilterra, o a quello più prossimo dei film di Fatih Akin. 
Il capo della grande famiglia (la cui seconda generazione è nata un po' in patria e un po' in Germania, mentre la terza dei nipotini è tedesca) si chiama Huseyin. Un giorno, a freddo,  a tavola in un giorno di festa annuncia a tutti che ha comprato una casetta nel villaggio natale dell'Anatolia, e desidera che tutti insieme vadano là a fare una vacanza. 
La sorpresa è generale. La prima a stupirsi è la moglie Fatma, tutta presa da altre cose come dalla consegna del passaporto tedesco e del riconoscimento della cittadinanza. 
Huseyin, invece, non ha dimenticato la sua patria anche se ha ricevuto una lettera ufficiale che lo a prendere parte a una cerimonia dove, in qualità di immigrato numero un milione e uno, gli si chiede di tenere un discorso alla presenza della cancelliera Merkel. 

E' così che il viaggio si fa e si ritrovano tutti di nuovo insieme in una terra per alcuni di loro ormai sconosciuta. 
Verranno fuori i problemi nuovi e vecchi della famiglia e dei suoi componenti, ma ci saranno momenti di grande intesa e emozione.
Emergerà l'amore speciale che il vecchio padre nutre per la sua figlia minore che gli confesserà di essere in cinta e per di più di un ragazzo inglese e per il nipotino più piccolo Cenk.
La narrazione si svolgerà alternandosi all'oggi, ai preparativi, alla partenza, al viaggio in terra turca. La voce narrante è quello della ragazza al bambino di quando e come il nonno è giunto in Germania, nel '64, e di quando e come poi sia stato raggiunto dal resto della famiglia. 
Un racconto ottimista,  anche se non privo di disagi e di difficoltà di adattamento: come quello di trovare un crocifisso nell'umile appartamento d'affitto, prontamente rimosso tra le risatine dei bambini che non capiscono che cosa sia. O quello dei servizi igienici dove lo sconosciuto wc sostituisce il più familiare servizio "alla turca". Insomma Almanya è un delizioso atto d'amore.

Partendo dal proprio vissuto di giovane di origine turca - ormai naturalizzata tedesca da due generazioni - la regista ha voluto, e cercato di raccontare (di nuovo e a suo modo) il senso profondo dell'essere immigrati, la realtà che meglio conosceva, e che aveva urgenza di venire alla luce. Aggiungendo così, un altro piccolo tassello, stavolta lieve e colorito, che si inserisce nella storia di una cinematografia che, da anni, affronta il tema dell'integrazione, in un'ottica conflittuale e drammatica. 
"Una volta un saggio alla domanda "Chi o cosa siamo noi?" rispose così: siamo la somma di tutto quello che è successo prima di noi, di tutto quello che è accaduto davanti ai nostri occhi, di tutto quello che ci è stato fatto, siamo ogni persona, ogni cosa la cui esistenza ci abbia influenzato o con la nostra esistenza abbia influenzato, siamo tutto ciò che accade dopo che non esistiamo più e ciò che non sarebbe accaduto se non fossimo mai esistiti!"